La concordia in Cusano e Pico della Mirandola: un concetto antico e nuovo
In una
delle sue ultime uscite, la Rivista di Filosofia Politica ha
pubblicato un intervento di Francesco Borghesi sul tema della concordia in
Nicolò Cusano e Pico della Mirandola. Autori che, nella maggior parte dei casi
sono considerati minori, ma ci occorre dire che anche il concetto di concordia
non ha trovato quella accoglienza e quello sviluppo che hanno avuto altri
concetti come quello di tolleranza. Questa è la prima chiarificazione
che fa Borghesi, ponendo l'accento sulla questione della concordia come
elemento fondamentale per il pensiero del Quattrocento, come di tutto il
Rinascimento. Eppure, sembra che sia un concetto che abbiamo messo da parte,
che abbiamo accantonato, come anche il concetto stesso di tolleranza. Tuttavia,
guardando alla situazione politica che stiamo vivendo, sembra urgente e
indispensabile tornare proprio a questi concetti qui, non solo quello di tolleranza
che ha avuto un suo sviluppo durante tutto il Settecento, ma anche a quello di concordia che,
di per sè, è diverso anche dal concetto di tolleranza. Infatti, se per
tolleranza intendiamo uno stabilire regole di comportamento per un quieto
vivere anche nelle differenze, per concordia i nostri autori
intendono uno sviluppo delle differenze, per cercare l'unità. Borghesi fa
notare come, nella "Sala della Pace" di Siena, Lorenzetti abbia
dipinto una serie di immagini che indicano il buon governo. Fra queste immagini
spunta anche la Concordia, con una pialla in mano. L'idea simbolica che
Lorenzetti vuole dare è che la Concordia occorre al buon governo di una città
per appianare le differenze, per far sì che esse venissero a galla e fossero
risolte. Insomma, la Concordia occorre non per eliminare le differenze o per
stabilire confini fra le differenze, ma per tentare di trovare un incontro, un
punto di contatto, una mèta comune verso cui tendere. Questa idea di concordia
hanno sviluppato Nicolò da Cusa e Pico della Mirandola.
Per
quanto riguarda Nicolò Cusano, egli elabora il concetto di concordia in alcune
sue opere rivolte soprattutto alla questione religiosa. Non dimentichiamo che,
nel 1453, Costantinopoli cade sotto il dominio turco. La notizia della caduta
dell'Impero Romano d'Oriente in mano ai musulmani, getta tutta la cristianità
in un clima di paura e terrore. Ma proprio in quest'epoca, Cusano inizia a
riflettere sulla concordia con il De pace fidei. In quest'opera, Cusano
pensa a come poter giungere alla pace, come poter ricostruire la pace in un
clima di così forte crisi. Il punto di partenza, per Cusano, allora è il dialogo.
La concordia si costruisce su un dialogo, motivato proprio dall'elemento
religioso. Sembra dirci Cusano che, invece di legare la religiosità ad una
forma di violenza contro qualcuno, bisogna riconoscere che tutte le religioni,
ciascuna a suo modo cercano la verità. Per questo: religio una in rituum
varietate, una sola religione con una pluralità di riti. Dove per religione
si intende questa ricerca della Verità da parte di ciascun essere umano, prima
ancora delle formulazioni dogmatiche e le scomuniche vicendevoli. Insomma,
dialogare significherebbe riscoprire Dio come fondamento di un dialogo,
piuttosto che come strumento di divisione e violenza. Solo attraverso questo dialogo,
allora, si potrà giungere alla concordia, ovvero una unità nella molteplicità e
non a prescindere da essa.
Pico
della Mirandola, invece, vede nella concordia il suo chiodo fisso,
ciò che permette agli esseri umani di vivere insieme. Infatti, per Pico della
Mirandola, il solo nemico dell'umanità è la discordia, ed è proprio questa che
minaccia continuamente il genere umano, portandolo alla sua distruzione.
Secondo Pico, dal momento che l'uomo è il teurgo di se stesso, riesce a
trasformare se stesso verso un fine di bene, attraverso l'intelletto che gli è
proprio. Tuttavia, il fatto che l'essere umano riesca a trasformare se stesso
non esclude la divinità, anzi è proprio grazie a Dio che ogni uomo e donna
possono crescere e modellarsi attraverso il proprio intelletto. Ora, se gli
esseri umani sono riusciti a generare una pluralità religiosa, questa stessa
pluralità è frutto dell'intelletto umano. Ma se è frutto dell'intelletto,
allora la pluralità stessa è voluta da Dio e, in qualche modo, ha un suo senso.
Così, se Pico fonda la pluralità delle religioni nell'intelletto stesso
dell'essere umano, e l'intelletto ha la sua ragione solo in Dio, ne deriva
tutta una serie di ricerche di approfondimenti che sono ancora in corso d'opera
e che hanno bisogno di essere ancora sviluppate. Così, conclude Borghesi:
Entrambe le proposte teoriche, inoltre, escludono gli assunti
dell'idea di tolleranza, che, presupponendo un'indifferenza in merito ai
contenuti delle credenze religiose, si pone in modo negativo nei confronti
dell'altro. Se la proposta teorica del De pace fidei "sin dal
titolo - in cui il genitivo fidei va inteso nel suo senso oggettivo
- sembra contrassegnata più che dall'idea di una pace nonostante la
fede, da quella di una pace della fede, ossia in cui è dalla stessa fede
che nasce e deriva la pace", sia in Cusano sia in Pico è palese il
riconoscimento del valore aggiunto derivato dalle diverse e molteplici
espressioni dell'esperienza religiosa: la pluralità delle confessioni è conditio
sine qua non dell'aspirazione all'unità concorde, che è conseguibile
solamente attraverso l'esperienza della prassi dell'incontro, testuale e non, e
del dialogo interreligioso.[1]
Potremmo
solo aggiungere e ribadire che non c'è concordia senza molteplicità e dove c'è
molteplicità si costruisce la concordia. Per non cedere alle ideologie.
[1]
F. Borghesi, Teologia delle religioni nel Quattrocento. La concordia in Niccolò da
Cusa e Giovanni Pico della Mirandola, Rivista di Filosofia Politica
1(2018), Il Mulino, Bologna, p. 45.
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