Socialismo tropicale: costruire orizzonti
Il ballo: comunicare se stessi
Il primo elemento portante di tutto il brano è il ballo. Ballare come un'isola non significa solo muovere i passi in un certo ordine ma saper comunicare se stessi. Il ballo è un movimento del corpo che dice l'interiorità e, qui, si inizia già a profilare un confine fra un dentro e un fuori, fra un'isola e il mare. Tutta la canzone si gioca su questo confine, sulla impossibilità di comunicare oltre la propria isola. Il miraggio del capitale e del business diventa solo trappola dell'individualismo. Il ballo, allora, è strumento di una comunicazione di emozioni senza parole. Il problema, allora, diventa cosa comunicare? Con chi comunicare? Qui è il primo vero problema. Ballare come un'isola diventa una comunicazione senza contenuto, un cercare di uscire da se stessi senza la possibilità di qualcuno in grado di tirarci fuori da noi stessi. Allora, il problema è che non si può uscire da se stessi senza una chiamata, senza qualcuno che ci parli. La prima comunicazione è sempre una comunicazione di qualcun'altro, di chi sa giungere sulla nostra isola. Chi di noi saprebbe parlare se non ci fosse stato qualcuno in grado di parlare con noi? Per questo il ballo dell'isola è ciascuno di noi immerso in miriadi di cose, in una libertà, che non permette nessuna via d'uscita, nessuna via di fuga. La libertà oggi è proprio così, una possibilità di camminare su un isola, ma senza poterne uscire. Il modello di tutto questo, nella Scrittura, è la storia di Samuele, un bambino che è una piccola isola in quanto nessuno gli ha mai fatto riconoscere la voce di Dio. E proprio quando sente quella voce, non la riconosce. Ascolta, ma non è ancora libero, perchè Colui che è in grado di tirarci fuori da ogni isola non ha ancora parlato. Per la libertà non serve solo fare quello che si vuole, ma occorre una voce in grado di rompere il mondo che ci costruiamo attorno. Ma nessun altro essere umano può rompere il nostro mondo fino a quando la sua parola non riflette una Parola eterna, fino a quando non ascoltiamo proprio quella Parola che innesca in noi una consapevolezza più alta e più vasta della nostra stessa isola. Fino a quel momento ogni cosa è solo sfuggente e fuggente, è solo un anelito, solo un amore occasionale, solo un socialismo tropicale una comunity dove non cambia nulla.
Essere isola: dentro e fuori, il confine da superare
Quando scopriamo che l'isola dove viene girato il video della canzone è, niente poco di meno, che Lampedusa, allora anche la nostra percezione dell'ascolto cambia. Non stiamo parlando di un'isola come tutte le altre, ma di un'isola che è al centro dell'attenzione mediatica da molto tempo. Sentire oggi l'isola di Lampedusa significa collegare subito il tutto al fenomeno delle migrazioni. Non sappiamo neanche di preciso dove si trovi Lampedusa, in quanto essa è diventata un simbolo della storia che viviamo oggi. A vederla sembra un'isola come tante altre, con gente pacifica e per nulla disperata, senza neanche un migrante. Sembra solo un piccolo villaggio dove sono depositati, solo gli scheletri di qualche barcone. Poi la vita procede tranquillamente e senza grandi eventi. Di qui, però, possiamo comprendere la simbolica di Lampedusa, una terra di confine. Tuttavia, il contenuto della canzone vuole farci ricordare come il confine sia stato spostato un po' più in avanti, in modo da garantire che non arrivi più nessuno sull'isola. Il simbolo dell'essere umano come isola, ora, si complica aggiungendo il valore di Lampedusa come isola. Il confine fra mondo esterno e mondo interno nell'essere umano, giunge dinanzi all'enigma dello straniero e del migrante. Il problema vero, dunque, non è solo a livello sociale ma il come guardare viviamo noi, in prima persona, il nostro essere isola. L'essere umano è perennemente su un confine che ha in sè e che porta con sè, in relazione agli altri esseri umani. Un confine che possiamo chiamare privacy, proprietà privata, diritto che dovrebbe regolare tutti i nostri rapporti. La nostra stessa società, la nostra epoca, si basa sul gioco del confine. Invalicabile, insuperabile, dinamico, rimane sempre un confine che mettiamo fra noi e gli altri, un confine individuabile nella distanza con lo straniero e garantito dalle leggi. Così la lontananza e l'esser fuori da noi stessi diventano la misura assoluta che ci garantiamo per essere a posto con la coscienza. Eppure, nel nostro genoma, nel nostro stesso sangue scorre una memoria di migranti, di erranza, di mescolamento con gli altri popoli, con le altre culture. Ogni civiltà vive e prospera proprio perchè le persone girano, perchè andiamo oltre i nostri stessi confini, non li spostiamo più in là. Ecco la scelta fondante noi stessi oggi. Scegliere di spostare i confini della nostra individualità sempre più in avanti per guadagnare spazi e tempi che tuteliamo con i nostri diritti, oppure tentare di oltrepassare il confine stesso, di andare sempre un po' più oltre. L'archetipo di questa scelta è in Abramo stesso, il padre di molti popoli. Colui che, per ascoltare una Voce è andato oltre i confini della sua cultura, mettendosi in viaggio. Abramo è colui che ha superato i propri confini, che è andato oltre per assaporare quella libertà che lo spingeva ad andare oltre se stesso, oltre la propria isola.
Socialismo tropicale: dal confine all'orizzonte
Oltrepassare i confini vuol dire anche annullarli, abbattere il muro di separazione. Molti diranno che questo non consentirebbe una buona prassi governativa, che non si può governare eliminando tutti i confini fra gli Stati. Ma il problema non è nell'abbattere o nell'abolire o meno i confini fra gli Stati, ma di saper uscire dai propri confini, di sconfinare e di lasciarci sconfinare. Perchè quel confine diventi un'orizzonte di incontro con l'altro, dove il mare che mette distanza suscita il desiderio di esplorare, di andare oltre, di intravedere all'orizzonte non il nemico ma lo straniero che siamo noi stessi. Anche Paolo, nella lettera agli Efesini (2,14-15) parla di Gesù come colui che ha abbattuto il muro di separazione dell'inimicizia. Un muro che la società costruisce per una possibilità di governo delle masse e che Gesù ci invita a superare, per incontrare coloro che riteniamo i nostri nemici, quello straniero a cui appartiene il mondo, come a noi. Ecco, allora, il futuro dove l'amore non è un isola e il cielo non è in una stanza, dove non basta il mare per mettere distanza. Un futuro tutto da ballare, per un nuovo orizzonte.
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