Babalù: quando Gesù abita la nostra miseria
https://www.youtube.com/watch?v=tXTeUXxDsck
Babalù sta quasi dappertutto: dal distributore al letto di casa, eppure mentre Mannarino canta, ecco che c'è una situazione in cui Babalà sembra non c'entrare nulla, un conflitto fra marito e moglie, o fra due fidanzati. Una bambina di passaggio sembra annunciare qualcosa di nuovo, una verità che da tempo sembrava rimasta sepolta: tutti volevano uccidere Babalù, eppure ora che non c'è più tutti ne parlano. Eppure, le parole non dicono nulla su chi sia questo Babalù, se non che sta. E Babalù sta un po' dappertutto, raccontato con effigi, immagini, quadri appesi, statue, tatuaggi. Allora, ecco il primo paradosso: a tutti stava antipatico questo babalù, poi lo ritroviamo praticamente dappertutto. Di qui il secondo paradosso: Babalù sa dappertutto, tranne nella situazione dei due ragazzi che litigano sulla scena. Ma questi due paradossi possiamo svelarli solo quando capiamo chi sia questo Babalù. E lo capiamo solo andando avanti con le parole, sulle note della canzone. Babalù è, in fin dei conti, lo stesso Gesù Cristo. Descritto e ridescritto più volte, con una corona in testa, con il sangue divino (o anche sangue di vino, con un richiamo all'Eucarestia), come colui che è andato oltre la propria morte. Insomma, alla fine della canzone riusciamo a comprendere che questo Babalù è Gesù Cristo.
Ma, dopo aver capito che Babalù è Gesù, la domanda resta sempre la stessa: che ce ne facciamo di questo Gesù? Infatti viene descritto, ma abbiamo sempre l'impressione che questo Gesù non parli, che resti muto, che sia rimasta di lui solo una forma, una statua, un tatuaggio, nulla di più. La serializzazione delle immagini e delle forme sembra aver catturato anche la figura di Gesù, tanto che è rimasta solo la sua rappresentazione, insieme ad un vuoto di parole inutili. Eppure, la canzone sembra aprire la sfida ad un nuovo linguaggio su Gesù Cristo. Anche se Mannarino risulta essere sempre molto critico sugli apparati ecclesiastici, tuttavia utilizza spesso un linguaggio preso dalla Scrittura. E, utilizzando proprio questo linguaggio, ci spinge a ripensare alla figura di Gesù in una chiave meno standardizzata e meno diafana di quella che molto spesso ascoltiamo. La sfida che riapre la canzone è nel poter ridare un nome a Cristo nel conflitto esistenziale, come poter dire, insomma, che anche il conflitto è stato assunto da Cristo Gesù. Le nostre immagini di Gesù sono sempre meno restie a questo, tanto da darci l'impressione che Gesù sia una persona opaca, in pace con se stesso, tranquillo, sereno, disincarnato dal mondo. Da questa figura di Gesù viene tolto tutto ciò che, umanamente, cerchiamo di nascondere anche a noi stessi: i nostri difetti, il conflitto, la rabbia, la disperazione. Sembra, così, che Gesù non abbia mai preso parte alla vita concreta delle persone della sua epoca, come delle nostre stesse vite. Non penseremmo mai che Gesù possa abitare anche i nostri conflitti, possa essere presente anche nelle nostre disperazioni, anche nella nostra miseria che non facciamo mai vedere agli altri, per paura di un loro giudizio. Invece, la sfida è proprio questa: parlare di Gesù anche nella disperazione più atroce, anche nella miseria umana, anche nel conflitto con gli altri. Senza giungere a facili soluzioni dicendo che tutto questo è sbagliato o che non sia giusto perchè moralmente inaccettabile. Allora, Babalù potrà tornare a chiamarsi con il suo nome, in quel salto della fede, come lo chiamava Kierkegaard. Un salto che fa anche il ragazzo nel video, con la fiducia di chi sa che, nonostante le sue miserie, ci sarà sempre qualcuno pronto a prenderlo in braccio e a farlo camminare. Per una strada nuova.
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