Chora: varianti in corso d’opera



Una delle principali categorie che utilizza Platone nel Timeo è quella di Chora. L’opera di Platone che prendiamo in considerazione, riflette maggiormente sulla questione dell’origine dell’universo, sul principio cosmologico che si cela dietro ogni ente. Parlando di questo, il Timeo non poteva non parlare anche della creatività, dove questa categoria non viene analizzata di per sé, ma sempre in relazione all’origine, al principio che Platone chiamerà Demiurgo. Ed è proprio il Demiurgo a suscitare grande interesse in quest’opera, dal momento che è il Demiurgo che prende i modelli del mondo delle idee e plasma la materia inerte. Di qui nasce il mondo e tutto l’universo.
Tuttavia, proprio in relazione all’azione del Demiurgo, ecco che Platone inserisce il concetto di Chora. Dove Chora è lo spazio fra le idee e la materia, il quale, al tempo stesso, genera continuità e discontinuità fra le idee e la materia. Chora, allora, è lo spazio necessario affinchè le idee possano prendere una forma materiale e concreta. Ma Chora è anche lo spazio altro e oltre le idee e oltre la materia e, per questo, indefinibile. Ma è proprio questa sua necessità e indefinibilità che spinge alla creazione e alla creatività dentro lo spazio. E questo, ovviamente, vale soprattutto per gli architetti. Scrive Carlo Deregibus in un suo intervento:
Molte sono le suggestioni che una simile entità ha per gli architetti. La fascinazione etica del fare del bene – il progetto di architettura ha ontologicamente la caratteristica di fare qualcosa di “buono”, perché risponde sempre a un fine da soddisfare; la capacità di maneggiare la forma trovando un ordine – e questo era tanto più vero nell’architettura classica, quando le teorie erano tese a definire regole di tipo geometrico, che consentissero di “comporre gli elementi” (infatti la progettazione si chiama anche “composizione architettonica”) secondo princìpi di armonia; la ripresa delle tracce dell’esistente – un tempo evidente nella stratificazione degli edifici, si pensi a San Pietro a Roma, oggi anche esplicitata in progetti che trasformano direttamente le tracce in forma, ad esempio nelle opere di Peter Eisenman. E a dire il vero, quest’analogia tra architetti e Demiurgo funzionava piuttosto bene, almeno fino al Moderno: ma insita nell’analogia vi era un rischio di delirio di onnipotenza che dopo la Seconda Guerra Mondiale iniziò a essere guardato con sospetto.[1]
L’abile Demiurgo che sa saldare insieme le idee e la materia è, per analogia, l’architetto, fino a quando la mania di grandezza e di onnipotenza non pervadono anche il suo progetto. Ebbene, l’idea di onnipotenza architettonica si scontra proprio dinanzi al Chora, ovvero dinanzi allo spazio che l’architetto non può manipolare a proprio piacimento in quanto non fa parte del suo progetto e, al tempo stesso, non fa parte neanche della materia con cui costruisce il suo progetto. Chora è lo spazio indefinibile e, per questo, concepibile solo in relazione a ciò che viene costruito dentro e attraverso di esso. Così, se Platone non riesce a definire il Chora, Aristotele lo sostituisce con il concetto di topos-luogo, sarà Deridda a reinterpretare il Chora come base per un decostruzionismo architettonico. Infatti, il Chora, lo spazio che continuamente sfugge, lo spazio che ricorda più l’abisso e la selva che il luogo definito attraverso gli schemi del progetto, è il fondamento su cui costruire ogni proprio progetto destinato sempre e comunque ad una mancanza, ad una crepa e ad una frattura. Così, paradossalmente, sarà proprio il concetto di Chora a manifestare l’ontologia di ogni progetto architettonico. Continua Deregibus:
In ogni caso, al di là di ogni deviazione, Chōra rappresenta forse, nella sua indefinitezza, la più accurata ontologia del progetto architettonico. Perchè il progetto, così difficile da definire “ontologicamente” (cos’è il progetto? L’idea primigenia? Gli elaborati che lo compongono?) è in effetti una struttura dinamica entro cui ogni possibile formazione si sviluppa: un irriducibile, indescrivibile generatore di forme materiali e discorsive, in cui si incontrano le idee e la materia.[2]
L’ontologia di ogni progetto architettonico è sul crinale fra l’idea e la sua realizzazione. Ma se il progetto si situa qui, esso ha bisogno di fare i conti sempre con uno spazio che sfugge, con un elemento che non può essere messo sotto controllo perché si definisce solo e soltanto con la realizzazione del progetto stesso. Ed è proprio questo Chora, lo spazio di realizzazione, ma anche della decostruzione. Uno spazio che è frontiera al progetto e, al tempo stesso, generatore del progetto stesso. Gradino di inciampo ed elevazione del progetto a realizzazione. Opera e mancanza, perché questa indefinitezza possa suscitare ancora una il desiderio architettonico del Creatore.


[1] C. Deregibus, Appunti su Chora, spazio e architettura. Da Platone a Deridda, Turns. Dialoghi fra architettura e filosofia (Extra #2, gennaio 2018), p. 53.
[2] Ivi, p. 56.

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