Il populismo economico: quando il padrone diventa proletario
Caro Pavel, l’economizzazione
delle risorse, oggi, non va solo in una direzione che potremmo definire turbo
capitalista, ma anche verso una relazionalizzazione degli spazi di lavoro e di
gestione delle attività. In altre parole, ci siamo accorti che investire sulle
relazioni non è solo un principio etico ma può diventare un principio economico
di miglioramento della produzione e del benessere delle persone. Fin qui nulla
di male, se non nascesse sempre il rischio di economizzare così tanto le
relazioni da rompere ogni spazio e ogni differenza fra chi dirige e chi opera,
ovvero, nella diversità dei ruoli. E questo rischio a cui assistiamo l’ho
chiamato populismo economico dove
l’antico padrone della fabbrica, il dirigente, il manager comprende che per far
lavorare meglio i suoi operai ha bisogno di abbattere le barriere e le
differenze e, quindi, lavorare in un open
space, affianco ai suoi operai. A prima vista sembra che questa sia una
ottima idea, dal momento che l’abbattimento delle barriere indica sempre un lato
positivo e una evoluzione verso l’uguaglianza e la democratizzazione del potere
gestionale. In realtà, però, l’abbattimento delle differenze è solo una
questione apparente, un mezzo per puntare ad un altro obiettivo che non è
quello dell’uguaglianza ma della produttività. Ecco, allora, perché e dove
questa uguaglianza diventa populismo,
in una sorta di decentramento del potere che, infine, non si sa dove vada a
finire. E proprio in questo non sapere chi comanda e chi guida un’azienda che
viene garantito un margine ancora più grande per l’esercizio del potere.
Paradossalmente, quando non sappiamo chi comanda, stiamo già subendo un potere
di qualunque tipo. Un potere diverso da quello degli anni passati, dove il
dirigente si riconosceva per la cravatta e il colletto bianco, oppure diverso
anche dall’antichità dove lo scettro era l’emblema del potere. In questa nuova
realtà liquida, il potere si nasconde ancora meglio, ancora di più omologandosi
agli operai, assumendo i loro stessi vestiti e modi e, in tal modo, spoglia gli
operai o quello che fino a qualche anno fa venivano chiamati proletari, della
loro organizzazione produttiva, del loro modo di vestire, di agire, di
lavorare. Un’operazione interessante per quanto riguarda la forma del potere
economico, il cui conformismo acuisce le differenze e, in fin dei conti, non
consente neanche di lavorare al meglio, in quanto c’è sempre e comunque un alto
tasso di stress nel non comprendere da quale prospettiva collocarsi.
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