Le luci d’America: dall’utopia all’eutopia
https://www.youtube.com/watch?v=Z38918BOI1o
Immaginate di potervi trovare
in un altro posto, in qualsiasi altro posto, che non sia quello attuale.
Ebbene, Luci d’America di Ligabue,
contenuta nel suo ultimo disco Start
gioca proprio su questo. Le luci d’America, infatti, sono il luogo immaginato
dagli immigrati nelle loro lunghe traversate sull’Atlantico, agli inizi del
Novecento. Le luci d’America è il simbolo del sogno che si realizza o, meglio,
della possibilità del sogno da realizzare, rimboccandosi le mani. Infatti, le
luci d’America sono i primi bagliori che gli immigrati poteva guardare dalla
nave, così come oggi le stelle
sull’Africa rimanda ad un altro tipo di migrazione. Ma Ligabue riesce a
dare un senso al migrare che non è prettamente di denuncia sociale quanto di
passaggio da un luogo all’altro. Le luci d’America ci spingono a pensare ad un
luogo altro, ad un altrove da poter realizzare, un luogo dove i nostro sogni
diventano realtà e dove la realtà stessa si confonde con la nostra realizzazione.
Nel video della canzone, l’utilizzo del visore per la realtà aumentata indica
proprio un rimando ad un luogo altro, ad un altrove che permette di aprire la
mente, di fuggire dalla propria prigione. Ora, il problema del luogo altro,
dell’altrove, è proprio nelle motivazioni che ci spingono ad affrontare un
viaggio da migranti. Il luogo dell’altrove, infatti, mette in gioco prima di
tutto la nostra percezione della realtà che potremmo definire di visualizzazione o di visione. Rimanendo in ascolto della canzone di Ligabue, la
differenza è proprio in come e in ciò che vediamo. La visualizzazione è il guardare una realtà piatta: il fumo sulle macerie o il dito mentre si indica la luna.
Immagini che ci rimandano ad una realtà che non è aumentata, come suggerirebbe
il visore, ma una realtà appiattita e ricurva su se stessa. La visione, invece, è la capacità di
guardare oltre, di far sì che quei luoghi, che la stessa realtà possa essere
già vista in tutto il suo spessore, in una prospettiva aumentata. Ma per fare questo,
il visore del video, diviene l’altro delle parole della canzone, diviene colui che guarda nello stesso punto delle
macerie e sorride, perché immagine già un mondo nuovo che sorge su quelle
macerie. Il visore nella visione di luoghi altri è colui che riesce a guardare
con gli occhi dell’immaginazione, chi nelle crepe della distruzione e della
decostruzione sa guardare la luce che penetra più che il nulla. Il visore che
aumenta la mia percezione della realtà, che mi porta in un luogo altro, è
proprio l’altra persona. L’alterità che mi permette di cambiare prospettiva, di
conquistare un punto nuovo sul mondo, un punto diverso dal mio. Per questo motivo serve pane e fortuna, serve vino e coraggio, soprattutto ci vogliono
buoni compagni di viaggio. Elementi che mi spingono a guardare altrove, che
condividono un percorso, un cammino, sempre spingendo il mio sguardo un po’ più
in là, un più altrove. In questa prospettiva, allora, quello che di solito
chiamiamo utopia ovvero non-luogo,
diviene eutopia, luogo buono in
quanto condiviso. E l’eutopia, il
luogo altro che non si riduce alla mia singola idea, fa rima con
l’irrimediabilmente altro dell’euanghellion,
dell’Evangelo. Dove l’annuncio di Dio è andare altrove, decentrarsi, assumere
una nuova prospettiva rimanendo, paradossalmente, nel luogo dove ci si trova,
proprio lì. In altre parole è essere
sulla soglia per realizzare certi miracoli solo da svegli. Allora, le luci d’America non saranno
più un miraggio da migranti di un altro luogo, ma un pellegrinaggio verso il
luogo dell’altro.
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