Croce e povertà
https://www.youtube.com/watch?v=IJMNgoyerak
Caro Amico, non so se
hai ancora ascoltato una delle ultime canzoni di Vinicio Capossela. Si chiama Il povero Cristo e narra di una fede che
sa di terra e di cielo. Se voli con l’immaginazione, dentro la rauca voce di
Capossela, puoi scorgere quegli ambienti brulli tipici del Meridione, dove i
muretti a secco si alternano a fichi d’india. È un luogo spettacolare e
surreale, dove puoi mettere i piedi nella calda terra illuminata dal sole.
Questo è il paesaggio in cui si muove questo Povero Cristo narrato da Capossela. Un Cristo che scende dalla croce, che prende su di sé la
condizione atroce dove si rincorre la vita in cerca della felicità con la
consapevolezza di morire. In due battute è condensato tutto il nostro mistero.
Il mistero di una vita così fragile eppure così intensa, di una vita in cui
vale la pena correre solo e soltanto verso una mèta: la felicità. Ed è una
felicità che viene messa continuamente dinanzi al rischio della morte, una
felicità che scegliamo perché sappiamo che prima o poi lasceremo questo mondo.
La terra, allora, non è solo il paesaggio che scorre nelle notte della canzone,
ma siamo anche noi. E questo Povero Cristo è venuto ad illuminare proprio
questo mistero che siamo, una terra calda di luce. Quando scopri questo mistero
di te stesso, allora riconosci che accanto a te sta camminando il Povero
Cristo. Perché non è un Cristo in gloria, per cui la vita è stata sempre e
comunque facile, un Cristo raccomandato in quanto Figli di Dio. Ma un Cristo
che sé è fatto carne, che si è fatto della nostra stessa terra, che ha scelto
di camminare e amare proprio questa terra che siamo, questo nostro Adamo,
questo Uomo di Terra che ci abita. Lo so. Il Cristo a cui spesso inneggiamo non
ti sembra essere questo Cristo Povero di Capossela. Fondamentalmente, perché piuttosto che da vivo a dare il buon ufficio
è meglio averlo zitto e morto in sacrificio. La riduzione di Cristo ad un
privilegio ha portato ad un mutismo non solo di Cristo, ma anche di tutti i
cristiani. Quell’andare per strada ascoltando voci, essere in cammino con un
popolo umano che geme e soffre, che spera e gioisce sembra essere solo una
perdita di tempo. Fare degli bene agli altri, camminare con gli altri, entrare
nell’umanità degli altri comporta molto tempo. Ma se vuoi che il bene non
parli, se vuoi ridurre al silenzio il bene fatto dagli altri, allora basta elogiarlo.
Dimenticare il bene degli altri significa ampliare la sua eco, mentre per
metterlo a tacere basta complimentarsi, battere le mani per il sacrificio degli
altri. In tal modo il bene non ci scomoda più. Ed è questo che rischia di
diventare questo Povero Cristo, un personaggio famoso, così famoso da farne un
monumento, un monumento così grande da dimenticarci che egli sia mai stato
umano e che continui a camminare qui, in mezzo al suo popolo. E se vogliamo,
quando gli Israeliti hanno accolto il comandamento di Dio di non farsi alcuna
immagine di lui, è perché essi stessi fossero consapevoli di essere l’immagine
di Dio, che nessuna proiezione esterna avrebbe potuto sgravargli dalla loro
vocazione di esseri umani. E questo divieto di farsi immagini ha raggiunto il
suo compimento in Cristo, immagine di Dio e immagine dell’Uomo. Infine, se vuoi
riconoscere davvero Cristo, se vuoi davvero riconoscerlo vivo in mezzo al suo
popolo e, soprattutto, nella tua vita, abbi dinanzi solo un’immagine, la croce.
Poiché è la croce che rende il silenzio di Dio un grido continuo, che fa del grido
di Dio il grido stesso di ogni uomo e di ogni donna che soffre. Non c’è Dio senza
croce. Perché è la croce è amare il
prossimo come se stessi, oltre l’umano. Dove Dio non rinuncia alla nostra umanità.
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