Celebrare la vita

 
 
 
 
 
 
 
 
 
Un inno alla vita
L'ultima canzone di Jovanotti è un inno alla vita. Già il titolo, però, ci dà ben due interpretazioni complementari della canzone. Da una parte abbiamo la leggerezza della vita, mentre dall'altra un continuo e multiforme cambiamento. Da una parte la ripresa di una canzone leggera che canta di una vita leggera fatta di auto-narrazione e dall'altra una vita che circonda lo stesso autore in un continuo cambiare di luoghi e volti. Anche nel video emerge chiaramente come ci sia una auto-narrazione e una multiformità della vita che incede ed eccede Jovanotti stesso. Anzitutto, la canzone è una celebrazione della vita passata, una narrazione dei luoghi e dei tempi che hanno visto il nostro autore vivere il suo periodo romano da giovane. Infatti, i luoghi mostrati nel video sono gli stessi luoghi in cui è cresciuto Jovanotti, mentre le parole della canzone si muovono a ritmo dei rap, primo amore del nostro cantante. Non vogliamo fare di Jovanoti un cantante del sacro, ma desideriamo scorgere nella sua canzone degli elementi simbolici che ci permettano anche nelle sue strofe di incontrare Dio, e per questo dire che questa canzone ci piace. 
Adamo e Abramo: l'origine e la promessa
Sembra, allora, che il primo desiderio dell'autore sia narrare di se stesso. Molto spesso ha fatto parlare di sè, mentre oggi vuole raccontare proprio i luoghi delle origini. Paradossalmente, il luogo delle origini non è la casa, la culla, le mura di un rifugio, ma la strada. La maggior parte delle scene sono registrate per strade di Roma con nomi ben precisi. Ed anche quando abbiamo scene di casa è sempre in riferimento alla finestra della casa, quasi ad indicare sempre un'uscita piuttosto che un rimanere dentro quattro mura. Fra l'origine e la strada si situano gli archetipi di Adamo e Abramo. Da una parte Adamo come il primo uomo, non nella serie quantitativa ma come principio dell'essere umano, di ciò che ci portiamo dentro. Adamo è il simbolo dell'origine che viene narrato nei luoghi dell'origine di Jovanotti. Luoghi che non sono solo luoghi quotidiani o zone di passaggio, ma che diventano luoghi genetici, luoghi che appartengono alla nostra genesi, al nostro sviluppo e che, al tempo stesso, ci portiamo dentro. Ecco, allora, come cambia la percezione stessa di un luogo: per molti di noi quelle zone di Roma non vogliono dire nulla o sono solo una mèta turistica, mentre per Jovanotti sono i luoghi che si porta dentro. 
E dopo Adamo abbiamo Abramo, l'archetipo di colui che va per strada. Tutti i luoghi che ci fa guardare Jovanotti sono all'aperto, per strada. Negozi, incroci, piazze, mercati, bar, ristoranti, benzinai fanno da cornice alla grande protagonista della strada. Ma, oltre a tutti questi spazi che si susseguono, campeggia sempre la grande cupola di san Pietro, simbolo dell'eterno. Due piani che riteniamo sempre scissi: il quotidiano e l'eterno, ecco che vengono ritratti insieme in un pellegrinaggio continuo come chi ci vorrebbe far vedere le foto del suo album dei ricordi tutte insieme. Così ci sembra il simbolo di Abramo, il camminatore che affronta la sua quotidianità in una relazione con l'eternità di Dio. Allora, se il video ci richiama Abramo, non può non richiamarci anche la promessa come realizzazione di ciò delle possibilità che siamo. La promessa in Dio è questo: realizzare ciò che non ci saremmo mai aspettati dalle nostre sole forze. E se questa è promessa, di qui nasce la meraviglia della celebrazione della vita. Possiamo scorgere la promessa nelle parole stesse di Jovanotti che vibrano a suon di rap. Un ammasso di cose da dire e da raccontare da essere confusionario che rallentano solo nel momento in cui l'eterno si apre nel quotidiano: la celebrazione della vita. 
Volti del sacro e del profano
Facendo attenzione alle persone che vengono ritratte durante il video e ponendo ascolto alle parole, notiamo anche come la vita quotidiana sia colorata dal relativismo. Non abbiamo più una morale oggettiva e dei costumi derivati da una singola cultura. Ma un continuo intreccio di persone che ci potrebbero sembrare delle incoerenze assurde: dal pizzaiolo di colore alla sposa incinta vestita di bianco. Accanto a loro, poi anche fidanzati, suore, preti, casalinghe, venditori ma anche volti di bambini e mamme che vengono inquadrati come fossero icone. Insomma, una grande molteplicità che racconta la vita nel suo svolgersi e nel suo non essere mai ingabbiata in delle forme assolute. Tutto cambia e tutto si evolve e anche i luoghi conosciuti da piccolo cambiano e si evolvono. Lo sguardo retrospettivo non coinciderà mai con lo sguardo del presente proprio per questa vita che incalza ed eccede. Una vita che non si ferma nei luoghi genetici, ma che continua e che ci porta a scoprire volti sempre nuovi, a rintracciare l'inedito. E questo ci può raccontare ancora di quel Dio che cammina. Il Dio Vita che, al tempo stesso, cammina con il suo popolo e dà la vita. Tuttavia, qui non abbiamo un popolo eletto con il quale Dio cammina, ma una moltitudine di storie in cui Dio fa capolino, come se fosse sempre nascosto e, ad un certo punto, si rivelasse. Un Dio di cui si percepisce la presenza nel prete e nelle suore che compaiono nel video, ma che non giudica le incoerenze dell'essere umano ma se ne fa compagno di strada. Lo schema di una realtà sacra e di una realtà profana cadono e sacro e profano si contaminano a vicenda, camminano di pari passo lasciandoci sempre la domanda se Dio non operi anche nel profano. 
Il momento, poi, in cui sentiamo con maggiore chiarezza la voce di questo Dio che è nascosto nella vita che circonda l'autore e anche noi è nel momento in cui Jovanotti parla del sacro fuoco. Un'idea ancestrale, che ritroviamo già nell'antica Roma con il culto delle vestali, ma soprattutto un'immagine simbolo che richiama immediatamente lo Spirito Santo. Ed è il momento in cui nel video Jovanotti, con un pallone in mano, torna bambino. L'idea è suggerita dalla stessa posizione in cui si trovano Jovanotti e il bambino. Il sacro fuoco che Jovanotti sente è quel fuoco che fa tornare bambini. Se la promessa è nelle realizzazione delle proprie capacità nel diventare grandi, il sacro fuoco dello Spirito ci fa tornare bambini. Non solo un movimento lineare dal bambino all'adulto, ma un ritorno dell'adulto a quel bambino che è sempre stato. E di qui nuovamente la celebrazione della vita come quella meraviglia del bambino dinanzi al mondo. Non di un bambino astratto, ma del bambino che siamo noi, del bambino che ha ancora voglia di giocare ovvero di creare delle relazioni libere in un contesto che, al tempo stesso, forma. Come il richiamo al bambino che gioca sulla buca delle vipere nel profeta Isaia, in cui il bambino gioca con ciò che è obiettivamente pericoloso, ma il gioco stesso elimina quel pericolo nella relazione di meraviglia del bambino stesso. L'istinto ci porterebbe a scansare e prevedere i pericoli, mentre il gioco ci fa affrontare i pericoli. 
La vita fra eternità e cammino
Dinanzi a tutto questo, ecco il grido che esplode: come posso io non celebrarti vita? La tensione che crea Jovanotti in tutto il testo si risolve proprio in questo ritornello che apre alla trascendenza. Tutte le parole ripetute come tamburo battente, tutti i luoghi vissuti, tutti i volti incontrati, tutte le situazioni incontrate ecco che trovano la loro armonia in questa celebrazione della vita. Come se fosse una liturgia in cui abbiamo un ricordo di ciò che è stato, e una invocazione che si trasforma in gratitudine. Non servono tanti perchè e non sembra ci vogliano tante spiegazioni a tutto questo, ma solo una esplosione di gioia e ci conforto per il futuro. Ma per questa celebrazione della vita c'è bisogno di un Dio della vita, di un Essere che è perchè la vita sia, che sia il fondamento stesso della vita. Una meraviglia per la vita ha bisogno di una metafisica della vita, ovvero di un fondamento al tempo stesso vivo e vivificante, di un Dio Vivente. Ecco la contrapposizione finale nel video in cui abbiamo l'eterna cupola di san Pietro che ci ha accompagnato per tutto il video e le scarpe appese, simbolo di inutilità ma anche di cammino. Il canto alla vita, diviene eterno cammino e cammino verso l'Eterno.

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