Miserere, ma che mistero!
Tutto inizia con una intonazione solenne ma anche profonda, quasi come se stessimo andando giù. Una solennità che si affaccia su un abisso e che è in grado di intonare solo miserere. Non si tratta di un canto religioso, ma di un inno di fede che scava nel profondo dell'abisso umano. Sono pochi i momenti della nostra vita in cui riusciamo a fare questo, in cui riusciamo ad immergerci così profondamente nella vita, ed essere dinanzi alla nostra stessa verità. E quando siamo dinanzi a questo enorme mistero che ci caratterizza, che ci rende così speciali, iniziamo a cantare il nostro essere peccatori. Non nei riguardi delle nostre azioni, ma perchè siamo dentro il nostro mistero. Ma che mistero è la mia vita!
Il mistero della vita, poi, non è qualcosa di incomprensibile e di oscuro, ma essere tesi nella contraddizione, vivere la propria contraddizione. Siamo spesso persi nella ricerca di una coerenza personale, di un programma di vita, di una identità già totalmente formulata. Eppure non ci accorgiamo che il nostro essere è contraddittorio, che la nostra vita è mancante non perchè non riusciamo a farcela con i nostri sforzi, ma perchè il nostro stesso essere è mancante. Ed è la mancanza insita nelle pieghe della nostra storia che ci fa cantare: miserere. Siamo homo miserere dove il verbo non indica una richiesta di perdono, una richiesta di pietà, ma una presa di coscienza della propria fragilità, un essere peccatori. Troppo spesso abbiamo ridotto questa dimensione a un livello morale, come se l'essere peccatore si manifestasse solo in una serie di atti mentre nella maggior parte della nostra vita fossimo essere normali, troppo normali. Invece, è il nostro abisso mancante che ci rende peccatori, che ci porta a conoscenza di non riuscire a vivere il desiderio che siamo.
In questa mancanza, allora, sorge una domanda: dove sono? cosa faccio? come vivo? Sembra risuonare la domanda stessa che Dio rivolge ad Adamo: dove sei? Ma se dinanzi a questa domanda Adamo si nasconde in quanto non vuole fare i conti con la propria miseria, con la propria mancanza, ecco che noi ci troviamo immersi in questa condizione. E il ritornello ricomincia: misere. Tuttavia, la mancanza non ci trascina giù fino a distruggerci. La consapevolezza di essere miseri ci porta ad un grido della vita, a brindare alla vita, perchè siamo consapevoli che questa vita è bella proprio quando vediamo crollare tutte le mille fantasie che abbiamo su noi stessi e che gli altri pretendono di avere su di noi. Il deludere le aspettative degli altri su di noi, ci rende molto più liberi di quanto pensiamo. E molto spesso abbiamo paura di questa nuova libertà proprio perchè ci pone dinanzi alla verità di noi stessi, al nostro miserere.
La prospettiva, allora, cambia. Dove tutti si aspettano ordine e coerenza, noi siamo santi traditori, uomini mancanti, riflessi divini alle prese con il male. Ecco la contraddizione sostanziale. Una contraddizione che si manifesta nelle azioni che facciamo ma che è molto più profonda, che è nella sostanza del nostro essere. E se la maggior parte delle persone non tollerano queste nostre contraddizioni, tuttavia esse appartengono a ciascuno di noi. La percezione di noi stessi si trasfigura in quanto il nostro miserere ci porta nell'anima del mondo, nella contemplazione di noi stessi in relazione ad un Uno che è Tutto, en kai pan. Vediamo il mare, le foreste e noi stessi come se fosse un tutto con-fuso, fino a perderci nel vivere profondo. Così la notte è attesa della luce, una gioia che ancora non c'è e che attendiamo. E questa attesa diviene miserere, tensione fra la mia piccolezza e la grandezza del mistero del mio esistere.
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