Le spire della violenza

Un evento scatenante, un evento di reazione, un evento di colpevolizzazione, un evento di difesa ideologica
Pochi giorni fa, a Macerata, è stato ritrovato il corpo di una donna fatto a pezzi e nascosto in due valigie. Le indagini hanno portato i sospetti verso un nigeriano, Innocent Oseghale. Il nigeriano era uno spacciatore che viveva a Macerata con un permesso di soggiorno scaduto. Molto probabilmente, l'orrenda fine di Pamela Mastropietro si sarebbe conclusa con l'accusa e il carcere per il suo assassino. Se , tuttavia, questo fosse stato italiano, nella nostra coscienza non sarebbe cambiato nulla. Ma Oseghale è un nigeriano, un immigrato, spacciatore con un permesso di soggiorno scaduto. 
Tutto questo ha scatenato l'ira di Luca Traini, ex-candidato per la Lega Nord, il quale è salito nella sua macchina e ha iniziato a sparare contro alcuni stranieri risiedenti a Macerata, ferendone sei. La spirale di violenza di Oseghale ha generato un ulteriore gesto di rivendicazione, suscitato non solo da un evento di violenza ma da un contesto violento, da un clima di violenza verso terminate classi sociali e verso determinati gruppi etnici. La cronaca nera si è trasformata cos un cronaca politica, dal momento che il pistolero era un candidato per la Lega Nord. A rincarare la dose, poi, una foto pubblicata su Facebook in cui c'è la testa della Boldrini mutilata e sanguinante con una scritta che si riferiva esplicitamente agli ultimi eventi di Macerata. Così, la questione non è solo politica ma istituzionale dal momento che sono state coinvolte e colpevolizzate le istituzioni per l'accaduto. Come ultimo aggiornamento, poi, il gruppo di estrema destra Forza Nuova ha appoggiato l'atto di Luca Traini dichiarando di poter sostenere tutte le spese legali del processo che subirà, in quanto questi immigrati sono tutti spacciatori, stupratori e omicidi. Il fatto è passato, così da cronaca nera, a politico e istituzionale per giungere ad una ideologia nera. Tutti ottili passaggi che rischiano di diventare quasi spontanei anche nella nostra mente. Diventa fin troppo facile accorpare l'immigrato a tutto un mondo di violenza fino a scaricare sulle istituzioni la responsabilità di tutto.
Violenza come principio di azione-reazione: Caino in noi
La prima cosa che ci chiediamo, allora, è se la violenza sia così congenita in noi da essere la risposta spontanea e immediata dinanzi a tutto ciò che ci inquieta e che ci turba. La violenza non è solo ciò che noi aborriamo, ma è anche ciò che ci coinvolge nei suoi meccanismi, che ci fa rispondere quando dinanzi a noi troviamo un evento che ci destabilizza. Il rispondere con la violenza è qualcosa di istintivo che è dentro di noi. Ma qui, in questi fatti, la violenza non è solo la risposta istintiva che possiamo dare, ma è legata ad un meccanismo di azione-reazione. Questa è la storia di ogni violenza, ad incominciare da quella di Caino stesso. Ed è proprio in Caino che vediamo l'archetipo della violenza quando, premeditando, uccide suo fratello Abele. Non una persona qualsiasi ma proprio suo fratello! E lo uccide perchè Abele destabilizza la sua identità di primogenito, di amato dai suoi genitori, di primo in tutto, anche dinanzi a Dio. Se Abele destabilizza suo fratello in quanto lo fa diventare secondo, ecco che anche Dio fa lo stesso con noi, diventando il principio stesso del ribaltamento. Quando non accettiamo tutto questo, ecco che la reazione è violenza. L'identità monolitica di Caino genera violenza. il suo ritenersi identità assoluta genera violenza contro tutti coloro che cercano di intaccare la sua stessa identità. Questo contesto identitario, nella storia, ha sempre generato violenza e diventa sempre più palese man mano che passano gli anni. Persone deboli hanno bisogno di identità forti e il rischio di perdere la loro identità li rende violenti. Questo è il Caino che è in noi.
Reazione sempre più spropositata: Lamech
La spirale di violenza, poi, non si conclude con la morte di Abele per Caino, come non si conclude in un singolo accaduto. La violenza ha la capacità di riprodurre se stessa e di accrescersi nel suo riprodursi. L'archetipo di Lamech, nella Scrittura, ci offre un esempio lampante. Lamech dice di aver addirittura ucciso un ragazzo per un suo livido e chiama a sua giustificazione proprio Caino. Dice che se Caino sarà vendicato sette volte, Lamech settantasette volte. La violenza produce in sè altra violenza in quanto pone in essere una spirale di carnefici e vittime in cui si alternano la vittima e il carnefice. Tuttavia, se la violenza contiene in sè già i germi per una nuova violenza, tutto si può sempre arrestare dinanzi ad una nostra scelta. Se la violenza contiene una necessità, dall'altra parte abbiamo la libertà. L'interruzione della violenza è il vero atto di libertà in cui la scelta di interrompere la violenza indica il prendere su di sè la violenza stessa e non riversarla su altri. Contenere in se stessi la violenza per evitare che si propaghi. Ma questo è possibile solo quando la violenza inverte il nostro modo di vedere le cose e le persone. Se siamo stati oppressi dalla violenza e ne conosciamo la sua gravità, saremo liberi quando non ci faremo trasportare da essa ma invertiremo rotta. Questo è ciò che comunemente chiamiamo pentimento o, in un orizzonte cristiano, conversione. Che vuol dire giungere alla consapevolezza che oltre la violenza c'è qualcos'altro e che la violenza stessa, nella sua necessità, sembra non farci vedere più nulla oltre se stessa. La violenza, in sè, è la gabbia dell'infinito riprodursi e ripetersi, mentre la conversione è l'oltre violenza che rompe la violenza stessa. 
Il meccanismo risolto del capro espiatorio
Un accaduto mi destabilizza, allora, il meccanismo che innesco è quello di una risposta che controbilanci l'evento stesso. La violenza non è solo istintiva ma anche meccanica, una risposta condizionata, poi, non solo dall'accaduto in sè, ma anche dal contesto e dal mio modo di vivere l'accaduto. Tuttavia, ciò che è comune a questa reazione istintiva e a questo meccanismo sembra essere la risposta ad una colpa. Ciò che scatena violenza non è un evento come tutti gli altri e non tutti gli eventi generano la violenza come risposta. Ma sembra che la violenza sia il rimedio ad una colpa che viene commessa da qualcun altro su cui scaricare anche ogni mia colpa. Il processo sembra quello del capro espiatorio raccontato nella Scrittura e, precisamente, nel libro del Deuteronomio. Dinanzi alla colpa del popolo bisogna commettere un doppio atto di violenza, da una parte nel sacrificio di un capro e dall'altro nell'esilio di un altro capro carico di tutti i peccati. Già è lampante come gli immigrati siano il capro espiatorio di ogni evento, ma più sottile è la loro funzione di scaricamento delle nostre colpe insieme alla nostra violenza. La violenza si blocca, però, solo quando Dio, colui dinanzi al quale viene giustificata la nostra violenza, diventa lui stesso capro espiatorio che fa saltare goni nostro meccanismo di violenza. In questa dinamica va letta la croce di Cristo e la sua morte violenta, come colui che si è caricato delle nostre iniquità, come il Servo Sofferente di Isaia. 
La violenza e la libertà
Lo scarico della violenza e della responsabilità, poi, coinvolge anche le istituzioni. La violenza si riversa contro la visibilità del nostro governo, contro quei volti e quei nomi che ci rappresentano. E se non ci rappresentano non è solo colpa loro, ma anche della nostra poca attenzione affinchè questo non accadesse. Una volta, su un muro, ho letto ognuno subisce il potere che merita. Non c'è frase più vera di questa! Subiamo il potere che meritiamo ed è quel potere che ci permette di scaricare la nostra responsabilità su se stesso. Il potere di governo è tale che si rafforza anche quando noi riversiamo il nostro immaginario violento su di essa. Se scatenassimo tutta la nostra violenza, allora, avremmo un  ribellione che creerebbe un nuovo potere basato sulla violenza esercitata sul primo. Sarebbe un nuovo potere, ma sempre un potere. Mentre scaricando l'immaginario della nostra violenza su di esso, non facciamo altro che permettere a quel potere di rafforzarsi e di garantire la propria sopravvivenza. Un altro binomio politico e sociale è fra violenza e potere. Un potere ha bisogno di esercitare violenza per sopravvivere e di ricevere violenza per rafforzarsi. E Gesù, durante la sua passione, ha affrontato proprio questo binomio, subendo violenza proprio dal potere. Durante la sua vita aveva detto di dare a Cesare quello che è di Cesare ovvero di dare al potere gli strumenti per mantenersi, ma di parlare un'altra lingua che non fosse quella del potere, ma quella di Dio. Se la moneta è lo strumento di potere e il meccanismo stesso della violenza, Gesù parla di dare a Dio quello che è di Dio, ovvero l'antiviolenza, la pace. E si può fare questo solo quando ci mettiamo a servizio, solo quando il nostro punto di vista assume quello degli oppressi, ritrovando l'unicità di ogni persona, ma anche la consapevolezza che un assassino non riflette tutta un etnia, ma solo i meccanismi di tutti gli altri assassini.
Il mondo non si divide in bianchi e neri, ma in chi commette violenza e chi se ne vuole liberare. Allora, mi chiedo, che differenza c'è fra Traini e Oseghale? Nessuna. Entrambi potremmo essere noi, oppure ancora scegliere di essere altro, come Cristo. 

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