Roveti ardenti: fiamme che coinvolgono




Da poco si è tenuto il World Press Photo, un evento che premia la miglior foto dell'anno. La foto vincitrice è quella di Ronaldo Schemidt dal titolo Venezuela Crisis. La foto ritrae un giovane, avvolto dalle fiamme, con una maschera sul volto, che fugge via durante uno scontro con le autorità venezuelane durante i disordini dei mesi scorsi. 
Il titolo: Crisi venezuelana
Il primo riferimento che prendiamo è il titolo della foto: Crisi venezuelana. L'immagine non parla di una crisi economica o di una crisi finanziaria, tanto da non rappresentare grandi grattacieli o sedi di banche. La foto ci fa guardare ad un ragazzo venezuelano che fugge, perchè questa è la vera crisi di una nazione. Quando, in uno Stato, i giovani iniziano a bruciare e ad essere avvolti dalle fiamme, allora quello Stato inizia davvero ad essere in crisi. Quando i giovani iniziano a suicidarsi, a non trovare più speranze, a farsi ascoltare solo attraverso la propria morte, allora c'è davvero crisi. Molto spesso, leghiamo il termine crisi con il termine economia. Ma l'avere un po' di meno non è nulla dinanzi alla vera crisi di ragazzi che bruciano durante degli scontri armati. Ecco, allora, perchè questa foto diviene simbolo della crisi di una intera nazione, come il Venezuela. Così come la celebre foto dei bambini che corrono nudi dal loro villaggi bruciato dal Napalm è divenuto il vero simbolo della guerra in Vietnam degli Stati Uniti. Ci sono immagini, come questa foto, che diventano simbolo di una lotta, di una protesta, di una crisi che parte da un evento unico e si propagano in tutto il mondo. Questa foto non avrebbe mai vinto il premio del World Press Photo se la Crisi Venezuelana, non fosse eco di una crisi globale. 
L'istante del movimento
La simbolica del ragazzo avvolto dalle fiamme, poi, si instaura fra l'istante e il movimento. Pur nel suo movimento, il ragazzo viene bloccato in un'istante, in un attimo dalla fotografia. La simbolica del ragazzo che fugge, allora, non riguarda solo l'istante in cui la foto è stata scattata ma un attimo eterno in cui il fuggire stesso diventa simbolico. Insomma, la scena di un ragazzo che fugge sarebbe durata solo qualche minuto, nell'istante della foto, invece, il ragazzo è come se ancora corresse, come se ci desse ancora il senso di una dinamica che eccede la foto stessa. Per questo, la foto è simbolica, dal momento che racchiude il simbolo della corsa in sè, oltre l'istante in cui la corsa del ragazzo è avvenuta. E questa simbolica di un ragazzo che corre la ritroviamo persino nel racconto della passione di Gesù nel Vangelo secondo Marco. Curiosamente, Marco non si sofferma mai su molti particolari, invece qui ritroviamo questa figura misteriosa di un ragazzo che segue Gesù, che viene fermato e abbandona il suo lenzuolo nella fuga (Mc 14,51-52). La differenza fra il giovane raccontato da Marco e il ragazzo nella foto è che il primo fugge via nudo, mentre il secondo è avvolto dalle fiamme. La simbologia, però, è molto somigliante dal momento che, entrambi i ragazzi fuggono in una situazione di violenza. Entrambi vivono in un mondo e seguono un sogno che mette a repentaglio la loro stessa vita, per questo sono costretti a fuggire. E di loro non sappiamo più nulla, tranne che il loro fuggire continua ancora oggi ad interrogarci.   
Le fiamme: dall'avvolgere il corpo all'avvolgere la scena, all'avvolgerci, un condividere l'esperienza del dolore il dramma dell'esilio di Israele
In foto, poi, l'elemento che maggiormente risalta agli occhi è il fuoco. Paradossalmente, non conosciamo il volto del ragazzo, non sappiamo chi sia ritratto nella foto, ma sappiamo che è avvolto dalle fiamme. Potremmo dire, allora, che le fiamme sono il vero protagonista della foto, da una parte perchè avvolgono il corpo del ragazzo, dall'altra perchè occupano la maggior parte della scena. Sono le fiamme che fanno da tramite fra la scena e il ragazzo. Sono le fiamme che avvolgono il ragazzo e, contemporaneamente, avvolgono la scena. Questo essere av-volti, ci rivela anche il vero volto del ragazzo, il quale non è famoso per i tratti del suo viso quanto per la sofferenza che sta provando. Possiamo solo immaginare cosa significhi essere avvolti dalle fiamme. Ebbene, questo ragazzo sembra dirci che il suo vero volto è di essere un uomo avvolto dalle fiamme, un uomo come potremmo essere noi. Per questo, il ragazzo avvolto dalle fiamme, sconvolge la scena in cui si trova ma, al tempo stesso, ci coinvolge nella scena. Il suo essere avvolto dalle fiamme implica una sofferenza che non riguarda solo lui ma di cui ne facciamo anche noi parte. Ripercorrendo la Scrittura, potremmo dire che questa è la stessa sofferenza dell'esilio di Israele. Dopo la distruzione del Tempio, la fuga del popolo e la prigionia in Babilonia, ecco che il popolo di Israele inizia a riflettere su se stesso, a cercare l'origine di tutta quella sofferenza.  È il perdere tutto e il ricominciare da capo, cercando le fondamenta dove costruire. Di qui comprendiamo il valore simbolico della memoria, come anche il valore di questa foto che diventerà, per sempre, immagine della violenza di quei giorni in Venezuela, come anche di tutte le guerre e di tutti i ragazzi costretti a bruciare per le proprie idee. Questa sarà la foto che aiuterà anche noi a ricostruire la nostra memoria, come anche il nostro esserci in questo mondo.
Il tuo volto io cerco…
Dalle fiamme non spunta fuori il volto di questo ragazzo, ma una maschera. Sicuramente la maschera serviva per non farsi riconoscere, come anche a proteggersi dal lancio di fumogeni o bombole a gas. Sembra una maschera che ci richiama alla mente episodi di guerra e distruzione. Ed è dalla maschera che noi cerchiamo il volto del ragazzo, senza riuscire ad incontrarlo nella foto. Sembra quasi un volto ieratico, un volto che non riusciamo a vedere, una maschera simbolica che ci spinge a cercare un volto, oltre il viso del ragazzo. Infatti, la maschera conserva questa doppia simbologia: celare un volto e manifestare qualcosa oltre il volto. In questa duplice utilizzo simbolico della maschera, ecco che emerge in noi la capacità di immedesimazione nei confronti della persona avvolta dalle fiamme. Dietro quella maschera potrei esserci anche io, potrebbe esserci un mio amico o un mio parente, come anche un mio nemico. Allora, la valenza simbolica della maschera ci permette di essere una personalità corporativa ovvero di entrare in una relazione di solidarietà con chi c'è dietro quella maschera, perchè lì dietro potrei esserci anche io. La violenza che subisce chi è costretto a nascondere se stesso, diviene possibilità di inglobare anche noi in quella violenza. Quando vediamo questo ragazzo non siamo più indifferenti, come se il fatto ci venisse raccontato al telegiornale. La simbolica della foto, la violenza della maschera, la capacità di poter entrare nella sofferenza di quel ragazzo, mi interrogano sulla mia stessa esistenza, anche alla luce del volto di Dio. Infatti, nei Salmi ritroviamo una relazione fondata sul volto di Dio, sull'essere sostenuti dal suo volto, tanto che quando il volto viene nascosto sorgono i maggiori interrogativi da parte dell'essere umano (Sal 26,6-14). Il volto simbolico, allora, diviene volto di Dio, in un processo di immedesimazione nella sofferenza. Se guardo il volto di quel ragazzo coperto dalla maschera, mi chiedo dove sia il volto di Dio in tutta questa situazione. Perchè se il volto di Dio viene oscurato, ecco che si oscura anche il volto dell'essere umano. 
Bruciare come roveti
Per concludere, possiamo affermare che questa foto ci interpella tutti. Non è solo un ragazzo che fugge via, non è solo una immagine spettacolare per i colori o per la tecnica utilizzata. La foto ci interpella per la sua valenza simbolica. Innanzitutto, ci pone lì, accanto a quel ragazzo. Chi ha scattato la foto ci colloca, nei suoi occhi, a guardare da vicino quel ragazzo avvolto dalle fiamme. Non è una prospettiva dal terza persona non interessata ai fatti, ma di un individuo che, bruciando, ci passa accanto. Oltre la paura che possiamo avvertire se fossimo stati davvero lì presenti, ci rendiamo conto che non è solo un ragazzo in fiamme che ci passa dinanzi, ma un simbolo eterno di una violenza che non sappiamo ancora quando finirà. Il vero messaggio di questa foto no è l'abilità tecnica, ma la simbolica che coinvolge tutta la nostra vita, che ci fa entrare in un processo di immedesimazione con il ragazzo, con tutta la sua storia e la storia del suo popolo. Per questo, provocatoriamente, il ragazzo ci sembra un roveto ardente. Riprendiamo l'immagine dalla storia di Mosè che, nel deserto, vede questo piccolo arbusto che brucia e non si consuma. Mosè desidera avvicinarsi per guardare lo spettacolo e, ad un certo punto, dal roveto inizia ad ascoltare una voce. Quella Voce gli dice di togliersi i sandali perchè la terra dove cammina è terra santa. E da quel roveto che arde Mosè riceve la missione di liberare il suo popolo dalla schiavitù d'Egitto. Il roveto ardente, allora, diviene, per Mosè, una testimonianza che gli permette di aprire gli occhi sulla realtà e di mettere in atto un processo di liberazione non solo per sè ma per tutto il suo popolo. Ebbene, questo ragazzo ci sembra essere davvero un roveto ardente in quanto testimonianza di un fuoco che brucia e che, in foto, non si consuma. Anche se siamo attratti da questo spettacolo, il ragazzo in fiamme ci richiama ad un qualcosa di più profondo, ad un toglierci i sandali ovvero ad un entrare nella sofferenza altrui e saperla condividere e con-vivere. E questo ragazzo che brucia è per noi, oggi, la testimonianza di una chiamata ad essere liberatori non solo di noi stessi ma di tutto un popolo, di ogni relazione che viviamo, ogni giorno. Affinchè il ragazzo non corra invano.

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