Oltre l'impero delle luci
L’Impero delle luci è un’opera o, meglio, due opere di Renè Magritte.
La prima è del 1950, mentre la seconda è del 1954. Prenderemo in analisi
l’opera del 1950, per il semplice fatto che è la prima opera intitolata l’Impero delle luci e perché la maggior
parte delle cose che diremo si possono dire anche dell’altra opera del 1954.
L’elemento che, immediatamente
colpisce e sconcerta dell’opera è il divario che esiste fra il cielo azzurro e
le case con la luce lasciate al buio. Infatti, la strada, le case e gli alberi
sarebbero solo una massa informe se non fossero illuminate dal lampione della
strada o dalle luci delle case. Quasi ad indicare come quel cielo non illumini
gli oggetti anzi, le lasci in penombra. Il contrasto è dato dal cielo illuminato
a giorno e le case ritratte in un classico paesaggio notturno. Un contrasto che
dà l’impressione che la luce del giorno metta in oscurità le case. Questo è il
paradosso che Magritte ha voluto raggiungere con la sua opera: una luce che non
illumina ma, anzi, mette in oscurità. Ma il titolo stesso della sua opera ci
mette in guardia su quale tipo di luce si tratti. Infatti, se l’opera si chiama
L’impero delle luci ci fa guardare
alla luce come ad una situazione di controllo, di imponenza ma anche di sorveglianza.
La luce del giorno, così, sembra sopraffare l’oscurità come una cappa che
contiene tutto sotto di sé. In questa prospettiva, allora, emerge la finzione e
l’artefatto esistenziale. Dove per artefatto
esistenziale intendiamo quel perbenismo societario in cui ci occorre sempre
mostrare una faccia sorridente e dire sempre e comunque di star bene, anche
quando stiamo male. Il contrasto fra luce ed ombra, così, diviene un contrasto
esistenziale dove siamo chiamati a mostrare agli altri solo la nostra apparenza
e il nostro essere persone perbene. Mentre il nostro essere autentico rimane
nell’oscurità, preferendo essere illuminato da un lampione, piuttosto che venire
fuori ad una luce accecante. Quando Sartre diceva che gli altri sono l’inferno,
si riferiva proprio a questo continuo mostrarsi agli altri non per quello che
siamo ma per quello che gli altri ci costringono ad essere. Così, accontentiamo
gli altri mettendo in luce ciò che vogliono vedere, in quella luce sovrastante
che poco lascia alla libertà.
In questo modo, allora, ciò
che sembra buono e bello come la luce diviene un elemento soffocante e
stringente, un elemento che non ci permette di essere noi stessi. Ma se questo
vale per l’opera di Magritte, ancora di più vale per il controllo sociale, dove
la luce e le zone illuminate permettono una maggior controllo del territorio e
una maggiore sicurezza morale. Ma la stessa sicurezza morale viene guadagnata
con una eliminazione graduale della propria libertà, simboleggiata dal
chiaroscuro delle case, degli alberi, delle strade. L’apparenza della luce
inizia, così, a lasciare troppo poco spazio alla libertà, al chiaroscuro, alle
nostre contraddizioni. Tuttavia, paradossalmente, le contraddizioni vengono
fuori proprio dalla contrapposizione fra il giorno e la notte presenti
nell’opera. È la luce accecante del giorno che fa venir voglia dell’intimità
della notte. Ed è l’intimità della notte che attende un nuovo giorno. Proprio
per questo, l’impero delle luci diviene contraddizione che ci abita e non solo
contrapposizione di giorno e notte. Tutto viene richiamato in una armonia che
scandalizza ma che da nuovo senso all’opera e nuovo valore alla nostra stessa
esistenza. Perché siamo un po’ così, abitati da un contrasto di luce e tenebra
che diviene contraddizione liberante.
In questa contraddizione
esistenziale si inserisce un tempo sospeso, un tempo che non ha più tempo. Dove
il tempo non è solo alternanza fra giorno e notte, non è solo ritmo ma anche
presenza. La contraddizione fra giorno e notte, fra il giorno e la notte che ci
portiamo dentro, lacera i nostri circoli di pensiero per proiettarci verso un
oltre, verso ciò che è al di là del tempo e che si rende presente nel tempo.
Dentro quel Dio che abita proprio il nostro chiaroscuro. Non le luci che non
illuminano, ma le luci che ci abitano. Lì Dio è presente, lì si fa presenza,
con la sua luce. Luce da luce.
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