Sotto il segno della discontinuità 4. Simbolo e la forma: matematica e geometria
La questione della discontinuità diventa essenziale anche per il pensiero
scientifico di Florenskij. Egli, partendo dal presupposto per cui una prospettiva
incentrata sui fatti ci fa perdere la visione complessa e complessiva della
realtà, ci accompagna verso una realtà integrale dove i fatti raccontano qualcosa
di loro stessi in quanto sono in relazione alla complessità del reale. Leggiamo
nell'opera Su un presupposto sulla concezione del mondo:
È l'immensità dei fatti che la scienza ha accumulato, è il
ritmo impetuoso della vita, è la difficoltà di orientarci, è l'impossibilità di
scorgere il disegno formato dalle macchie colorate della modernità a toglierci
le forze. Ma sopra ogni cosa, siamo imbevuti di un pensiero tendenzioso e non
riusciamo più ad accostarci direttamente a una questione, ad analizzarla nella
sua essenza. Per noi le ipotesi assurgono a dogmi, i dogmi si irrigidiscono e
lo spirito si chiude nell'involucro fossilizzato delle opinioni altrui; il criticismo
svapora, la scienza perde la sua essenza... E attraverso la spessa corazza dei
falsi assiomi non c'è modo di giungere all'aria fresca![1]
La scienza ha bisogno di un criticismo, per non ristagnare nella formazione
di dogmi che non lascino spazio alla ricerca. Per questo, possiamo affermare
che la scienza, per Florenskij, è ricerca continua, come ogni campo del sapere.
Ed è proprio la ricerca e, soprattutto, la ricerca simbolica ad essere ciò che
può dare al sapere una visione complessa del mondo. Senza questa visione
d'insieme, in cui ogni sapere dialoga con un altro sapere ed ogni linguaggio si
pone in una questione critica con la realtà, non è possibile giungere a nessuna
conoscenza. Anzi, otterremmo solo una miriade di dati che non sapremmo come studiare.
Sarebbe come avere, ad esempio, delle assi sparse per terra ma senza un
libretto di istruzioni su come montarle per costruire un mobile. Sappiamo bene
che quelle assi formano quel mobile, ma non sappiamo arrivare a costruire
l'insieme del mobile. Dentro di noi abbiamo già la capacità di una visione
d'insieme, ma non sappiamo ancora come poterla costruire se, a monte, non
abbiamo una ricerca critica che garantisca una conoscenza viva e
dinamica.
Per quanto riguarda la scienza, nella fattispecie, Florenskij si sofferma
ad analizzare i numeri e il linguaggio della matematica. Una materia che il nostro
autore sa padroneggiare molto bene dal momento che le sue concezioni e le sue
principali intuizioni nascono proprio dal terreno della matematica di Cantor e
di Bugaev. Infatti, è proprio da questi due che Florenskij ricava la sua
concezione di infinito e la scoperta degli infiniti. Nel pensiero insiemistico
di Cantor, tradotto in russo da Bugaev, Florenskij riscopre come in un insieme
di numeri finiti ci siano sempre e comunque una serie di numeri infiniti, e che
ogni volta che tentiamo di raggruppare questi numeri infiniti, sorgono sempre
nuovi infiniti. Il risultato, allora, è che non abbiamo una cesura fra finito e
infinito ma la riscoperta dell'infinito nel finito o, meglio, degli infiniti
nel finito. E questa scoperta porta con sè la questione della discontinuità matematica. Infatti, possiamo
scorgere l'infinito solo quando, in un continuum ordinato di punti, il limite tiene insieme il finito
fino a farci scorgere, al suo interno, l'infinito. Dalla matematica, così,
passiamo alla geometria, in cui il numero si unisce con il punto, fino a
formare una linea. Continua Florenskij:
È d'uopo soffermarsi anche su esempi della prima delle
scienze reali, la geometria. Le innumerevoli analisi dello spazio da questa prospettiva hanno
chiarito ampiamente che persino nell'ultima roccaforte del continuo, persino
nel continuo per
eccellenza, quello spazio su cui Zenone e Parmenide costruirono l'idea di
continuo, persino tra le figure geometriche trova posto la discontinuità. In
via di principio, le figure spaziali sono discontinue, e solo particolari
condizioni apportano loro quel complesso di segni tramite il quale abbiamo il
diritto di definirle continue. Quante più dimensioni ha il contenitore di
figure geometriche preso in considerazione, quanto più liberamente si schiudono
i petali delle diversità, tanto più inaspettati e vividi saranno gli sbalzi
improvvisi nelle proprietà di dette figure. Tuttavia, persino nel piano delle
linee curve troviamo una tale ricchezza di sfumature nella discontinuità che il
loro studio necessiterebbe di opere specifiche.[2]
Pur non potendoci addentrare più specificatamente nella questione, comprendiamo
come per Florenskij la discontinuità caratterizzi la geometria come curvatura
delle linee. È proprio la questione del limite, dello spezzato, della
definizione di uno spazio che lascia a Florenskij l'occasione di indagare come
quella linea non demarchi solo un confine ma apra le porte ad una concezione
ben più profonda della realtà. Infatti, è proprio grazie alle demarcazioni,
alle linee che possiamo definire qualcosa e conoscere questo qualcosa. Senza
una marcatura, senza un confine, non sapremmo riconoscere nulla e tutto sarebbe
solo una poltiglia assimilata di nulla. Ed è proprio questa concezione di
spazio discontinuo che permette alla geometria di essere reale e di misurare la terra. Al contrario di questa concreta demarcazione,
abbiamo lo spazio astratto e asettico su cui hanno riflettuto Parmenide creando
un essere a tutto tondo e Zenone con i suoi paradossi per giustificare le
idee del suo maestro. Riassumendo, allora, possiamo notare come la matematica e
la geometria ci diano una nuova visione del mondo. Una visione d'insieme, ma
anche concreta. Una visione discontinua e, per questo, in grado di farci
scorgere una realtà ben più complessa nelle sue connessioni. Una visione oltre
il piattume dei dati, ma in continua ricerca della realtà. Ed è proprio la
discontinuità che ci porta a guardare la realtà, anche attraverso il linguaggio
della scienza.
[1]
P. A. Florenskij, Su un presupposto
della concezione del mondo, in Id.,
Il simbolo e la forma, Bollati Boringhieri, Torino 2007, p. 14.
[2]
Ivi, p. 21.
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