Hagia Sophia, incroci vitali






Hagia Sophia, qui destinò il Signore

popoli e re a fermarsi. Chè dal cielo

la tua cupola (dice un testimone)

pende come fissata ad una catena.


E ai secoli diede esempio Giustiniano,

quando Artemide Efesia, per gli dèi stranieri,

accettò di lasciarsi carpire il verde marmo

di centosette delle sue colonne.


Ma che pensava il generoso artefice,

quando, sublime d'anima e talento,

in te dispose le absidi e le esedre,

additandogli oriente ed occidente?


Bello il tempio in un liquido universo,

un trionfo di luce le quaranta finestre,

e sulle vele ai piedi della cupola

belli più d'ogni cosa - quattro arcangeli.


E quel sapiente, sferico edificio

oltre popoli ed ere avrà futuro,

e il singhiozzo alto dei serafini

non curverà le ombrose dorature.


Ammucchiano i portieri a badilate

la neve fresca, nei quieti sobborghi;

io, tra mugicchi dalle barbe folte,

passo, viandante a cui nessuno bada.


Balenan donne avvolte in fazzoletti,

cani bastardi ruzzano impetuosi,

dei samovàr fiammeggiano le rose

scarlatte in ogni casa e in ogni bettola.


Osip Mandel'stam, Hagia Sophia


Può un’architettura diventare una poesia? E, ancora, può una poesia costruirsi sulle volte si un’architettura? C’è un confine fin troppo labile fra la poesia e l’architettura perché entrambe hanno come fondamento la creatività umana. E quando siamo creativi non c’è confine che tenga. I confini e le identità sono posti per operare una divisione, ma non ci può essere una divisione nella creatività umana. C’è una distinzione, un far emergere dalla confusione del reale un elemento, un oggetto, un’opera che esprima molto più della sua stessa struttura. Questa è l’architettura, questa è la poesia. Osip Mandel’stam, uno dei maggiori poeti russi del XX secolo, vittima delle purghe staliniane del 1938, ci mette dinanzi proprio questo parallelismo fra l’architettura e la poesia. Esponente dell’acmeismo, movimento poetico russo che si differenziava dal simbolismo per la concretezza delle sue immagini, Mandel’stam ci mette dinanzi all’edificio di Santa Sofia di Istanbul, l’antica Bisanzio. Con le sue immagini poetiche ci fa tornare indietro, ci spinge a cercare il nesso fra l’universo liquido e la cupola fissata con una catena al cielo.
Nella poesia di Mandel’stam, ecco che l’edificio inizia a muoversi, a respirare man mano che il poeta lo guarda. La poetica, insomma, sembra ri-costruire l’edificio non con i mattoni, ma con la sua storia. Allora, l’edificio prende vita, la stessa vita dell’architetto e del muratore che l’hanno progettato e realizzato. La stessa vita dei portieri che accumulano la neve a badilate. La vita di chi entra per pregare fra voci di uomini barbuti e veli di donne che assistono alla liturgia. La vita del viandante invisibile che passa e alza lo sguardo alla maestosità dell’edificio. Insomma, l’architettura di Santa Sofia prende forma non solo nella sua struttura, ma anche nella storia e nella vita concreta della gente che passa, che vive, che attraversa la basilica. La concretezza della vita, dunque, passa attraverso le porte dell’edificio, ma è il poeta che riesce a riscrivere la vita della chiesa attraverso i suoi versi, perché è il poeta che riesce a cogliere, nel suo sguardo, il movimento vitale di tutta la struttura. E può fare questo perché, nello sguardo del poeta, si incrocia il tempo e l’eterno, il quotidiano e l’atemporale, il finito e l’infinito. In questa sguardo poetico riconosciamo anche noi come la pietra possa essere abitato e, al tempo stesso, avere un futuro oltre i popoli e le ere. In questa capacità di scorgere l’infinito che rimane anche nel mutare delle situazioni e dei contesti nasce l’incrocio fra la poesia e l’architettura. Dove il punto nodale manifesta la luce della Sapienza. Non per nulla l’edificio che descrive Mandel’stam è Santa Sofia, il centro della vita ecclesiale dell’impero bizantino, culla di tutta la fede ortodossa, tanto che le forme delle chiese ortodosse, ancora oggi, riecheggiano l’architettura di Santa Sofia.
C’è un nesso, quindi, fra architettura e poesia, e questo nesso è la Sapienza. Non solo la Sapienza umana come ingegno architettonico o retorica poetica, ma come capacità di scorgere la luce dell’infinito che entra nelle finestre delle possibilità umane. Ecco che cos’è la Sapienza o, meglio, chi è la Sapienza. Non solo un edificio storico, non solo un contenitore di preghiere, non solo un luogo per coloro che professano la fede cristiana, ma un atteggiamento vitale, un modo nuovo di guardare il mondo, una conversione di tutto se stessi verso l’altro e verso l’oltre. Questa è la Sapienza. L’Hagia Sophia.

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