Una lingua che c’è
Sull’ultimo numero
della rivista Philosophy Kitchen dal
titolo Soggettivazioni. Segni, scarti,
sintomi, Felice Cimatti analizza la linguistica di de Saussure in relazione
alla psicanalisi di Lacan e alle teorie di Chomsky. La prima considerazione che
fa Cimatti è che la lingua c’è.
Secondo de Saussure, infatti, la lingua semplicemente c’è e, dinanzi a questa evidenza, si rivela tutta la paradossalità
della lingua stessa. Pensare alla lingua che utilizziamo significa sempre
pensare alla stratigrafia presente nella lingua, alla sua evoluzione nel tempo
come anche ai segni convenzionali che vengono usati per esprimere un suono.
Crediamo, insomma, che la lingua sia una costruzione storica, un prodotto del
passare degli anni, un qualcosa che muta nel tempo e frutto di convenzioni.
Invece, le ricerche di De Saussure ci portano in direzione contraria rispetto a
questa prima evidenza. Infatti, ammettere che la lingua c’è significa dire che essa è indipendente dai soggetti che la
utilizzano. Le regole grammaticali, come le regole della lingua in generale non
sono il prodotto dell’essere umano né della sua storia, né della sua cultura.
Ciò che è nelle mani dell’essere umano è la capacità di dare forma alla lingua,
ma la regola del legame di un segno ad un suono non è una semplice e banale
convenzione. Potrebbe essere una convenzione la forma del segno in relazione al
suono o persino il suono potrebbe essere convenzionale, ma il legame fra l’uno
e l’altro non è frutto di una convenzione, ma un quid proprio di ogni essere umano, un qualcosa che appartiene alla
sua stessa essenza. La lingua, secondo de Saussure, risulta essere una convenzione necessaria dal momento che
non può fare a meno di utilizzare segni per quanto convenzionali essi siano.
La lingua, poi, non è
solo un possibile necessario ma, per
dirla con Durkheim, è un fatto sociale,
anzi, è il fatto sociale, dal momento
che è la lingua che regola ogni relazione degli esseri umani fra di loro. Per
questo motivo, Cimatti chiama in aiuto Chomsky spiegando come la divisione del
filosofo statunitense fra competence e
performance, riecheggia proprio
questo innatismo della lingua portato avanti da de Saussure. Chomsky, infatti,
parla di competence come la dotazione
innata che ogni persona possiede della lingua, mentre la performance è la forma che ogni cultura dà alla lingua e alle
proprie espressioni linguistiche. In questa prospettiva, allora, la lingua non
è solo un segno convenzionale ma esprime qualcosa anche di se stessa. Dal
momento che la lingua non è solo un attaccamento del suono al segno, per dare
un significato, essa è anche il mezzo attraverso cui comprendere la lingua
stessa. Non esiste una metalingua in grado di esprimere il senso della lingua,
perché la lingua che utilizziamo esprime se stessa in maniera autonoma. Scrive
Cimatti:
La semantica, per Saussure, è sempre una semantica tutta
linguistica, non ha a che fare né con la psicologia né con la percezione, e
quindi con il mondo esterno. A rigore si può dire che per Saussure la lingua
parla della lingua, non del mondo. Più in particolare, la semantica, per
Saussure, è sostanzialmente sintattica, perché il valore di ogni segno dipende
soltanto dalla sua posizione relativa rispetto agli altri segni del sistema. Si
tratta di una semantica a base sintattica perché ogni segno, in fondo, è una
entità puramente combinatorio-differenziale. Questo vuol dire che la lingua c’è,
che sta lì, fra i parlanti e nella testa dei parlanti, ma non dipende dai
parlanti.[1]
Se la semantica è,
sostanzialmente, sintattica, significa che la semantica è la relazione dei
segni non solo con le cose ma anche con gli altri segni. La lingua, dunque, si
spiega attraverso le relazioni dei segni fra di loro, la lingua parla della lingua. Ora, ciò che per de Saussure è
l’indipendenza della lingua da parte dei singoli individui che la
praticano, ciò che per Chomsky è la differenza fra la competence e la performance,
per Lacan è lalingua. Non si tratta
di un errore di battitura ma proprio de lalingua
tutto attaccato. Infatti, per Lacan lalingua
è ciò che permette la modulazione del linguaggio stesso, la possibilità di
dare una forma al linguaggio. Per questo motivo, se la lingua si spiega con la
lingua, allora lalingua è ciò che
parla in ogni lingua, in quanto esprime se stessa nella lingua. Allora, per
Lacan lalingua non appartiene ad una
dimensione conscia dell’essere umano, in quanto il conscio ha già una forma. Lalingua è ciò che è informe, ciò che
appartiene al subconscio il quale, a sua volta non è lo sconosciuto in noi ma
ciò che viene espresso attraverso la forma del linguaggio. Tuttavia, la lingua,
per Lacan, non è qualcosa che si frappone fra il soggetto e la cosa, in quanto
se così fosse sarebbe una mediazione che allontana il soggetto dalla cosa e,
quindi, dalla realtà. Se la lingua fosse una mediazione trascenderebbe la
realtà stessa, per portare nella realtà il suo senso, quando la realtà stessa,
chiamata da Miller, evento di corpo,
non ha bisogno di un senso. La lingua, dunque, esisterebbe solo per significare
un evento di corpo o, meglio per
interpretare un sintomo che il corpo
esprime. Scrive Cimatti:
L’«evento di corpo» si muove in un campo del tutto privo di
trascendenza, cioè è un corpo che finalmente abita la condizione in cui
fattualmente si trova; la ‘sua’ condizione è quella che è, quello che fa è fare
qualcosa di quello che si è. Il corpo che conosciamo è il corpo che parla, che
si esprime attraverso un sintomo che qualcuno deve interpretare; ma se il corpo
diventa un sintomo, cioè un segno, allora il corpo reale svanisce, e rimane
solo il significante di qualcos’altro. Nel corpo reale questo continuo
slittamento di senso – di per sé inarrestabile, come quello scoperto da
Saussure negli anagrammi – si ferma. Il corpo reale smette di essere sintomo,
cioè linguaggio, e diventa quello che Lacan con un neologismo definisce
«sinthomo», cioè un corpo che vive fino in fondo la corporeità che è. Il
«sinthomo» è allora il corpo che è passato «al livello del reale».[2]
Se la realtà, dunque,
fosse semplicemente questo appiattimento del corpo sulla espressione fattuale
dei suoi sintomi, si fermerebbe lo slittamento di senso ovvero la possibilità
della lingua di dare un senso al corpo stesso. Per Lacan, come per Miller, i corpo
non hanno senso e la lingua serve per interpretare i sintomi del corpo-sinthomo,
ovvero del corpo divenuto pienamente reale. Ora, rimanendo vera la questione che
la lingua non è semplice prodotto di convenzioni, come si potrebbe pensare che la
sola trascendenza della lingua sia legata alla mediazione della lingua stessa con
il corpo e, quindi, con la realtà? In altre parole, se il valore necessario della
lingua esprimesse altro rispetto ad una realtà-sinthomo?
Non si potrebbe pensare una nuova metafisica della semantica dove il fondamento
della lingua sia nella Parola? Spesso abbiamo pensato la metafisica in senso heidegerriano
di onto-teologia ovvero di una ontologia
che trovasse sempre e comunque il suo senso in un qualche dio. Ebbene, e se partissimo
dall’informe per porre una nuova metafisica? Se partissimo dalla lalingua lacaniana per dire che il fondamento
della linguistica stessa è in un Dio che si fa Parola e che, ontologicamente è Parola?
Forse, torneremmo a pensare, senza appiattirci.
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