Maria, donna nei nostri giorni
La storia e il segno
Una delle opere più
famose e, al tempo stesso più curiose, del pittore russo Kuzma Petrov-Vodkin è,
senza dubbio, la Madonna codi Pietrogrado.
Curioso per il semplice fatto che Petrov-Vodkin è un autore sovietico, che ha
operato durante il periodo della Rivoluzione Russa, di cui uno degli scopi era
quello di abbattere l’oscurantismo religioso. Proprio in questo periodo, di un
nuovo trionfo dell’essere umano su tutti i suoi antichi retaggi religiosi, il
nostro pittore sceglie di dipingere una donna con le sembianze della Vergine di
Nazareth. Dove, quando parliamo di sembianze, intendiamo una composizione artistica
che prende spunto dalle icone della Vergine.
Guardando a questa
donna, ritratta con il suo bambino, subito ci colpisce la fierezza del suo
sguardo e dei lineamenti della sua bocca. Un volto quasi duro, un volto quasi
impassibile, ma che al tempo stesso riesce a trasmettere un senso del mistero
inavvicinabile. Un mistero che si rivela nella forza del pugno con cui tiene
stretto il suo bambino. Non è una forza punitiva, dal momento che il bambino
stesso dorme in braccio a sua madre, ma è una forza che da sicurezza, una forza
che infonde vigore nuovo a suo figlio, come a noi che guardiamo. Il volto di
questa donna è, al tempo stesso, forte e trascendente. Non è una ierofania per
cui gli occhi guardano altrove, ma al contrario, quei suoi occhi scuri, stanno
guardando proprio noi, interpellano proprio noi. Nelle antiche icone orientali,
questo sguardo si chiamerebbe di prospettiva
rovesciata secondo la celebre intuizione di qualche filosofo. Uno sguardo
colmo di una forza che viene da altrove e che chiama proprio noi. Una forza che
attraversa tutto il corpo della donna, tanto da offrire protezione per il suo
bambino. Non è quell’accoglienza smielata e ambigua di molte pubblicità di
oggi, ma è il vigore di una forza che ci rende accoglienti, che scava dentro di
noi il posto per Qualcun altro.
La Madonna come simbolo
Un altro elemento che
ci fa rendere conto di come questa donna richiami l’icona della Madonna è il
colore che viene utilizzato. L’accostamento del blu e del rosso, insieme al
bianco del velo, ci richiamano proprio ai colori iconici utilizzati per Maria,
ma soprattutto per Cristo. Infatti, nella simbologia dei colori, il rosso
indica la vita umana, mentre l’azzurro indica la vita divina. Entrambi i colori
vengono utilizzati nelle icone per indicare la doppia natura di Cristo, vero
Dio e vero uomo. Qui, invece, sono magistralmente utilizzati per indicare
l’umanità di Maria che viene rivestita
dalla divinità di suoi figlio. Se guardiamo bene, il rosso del vestito di
questa donna, sembra pian piano scomparire alle spalle della donna, per
lasciare il posto all’azzurro. E l’azzurro ha come centro il bambino che la
donna porta in braccio. Entrambi, sia la donna che il bambino, hanno poi
qualcosa di bianco, ad indicare la comune appartenenza, come anche la comune
consacrazione dell’uno per l’altro. Infatti, il velo viene utilizzato ancora oggi
come segno di consacrazione per le donne. La particolarità del velo di questa
donna, però, è che viene posto come le operaie sovietiche dell’epoca. È proprio
il velo a dare l’impressione di essere lì, nella prima metà del Novecento, in
Russia. Quasi ad indicare che tutta la vita spirituale, tutta la vita che
possiamo vivere in Cristo, è sia un processo in cui veniamo scavati da Cristo
stesso, sia un vivere il tempo in cui siamo. E il velo, in questa posizione, lascia
anche libero il collo di Maria, scoprendo tutta la sua femminilità, caratteristica
che, molto spesso, cerchiamo di nascondere della Vergine. Eppure, lei è
pienamente donna, ma non come la vorremmo noi, ovvero timida e sottomessa, ma
piena di ardore e di coraggio, di quella forza che solo lo Spirito riesce a
dare.
Guardano quest’opera,
allora, il mistero che avvolge lo sguardo di Maria, sembra irradiarsi nella forza
della sua stessa fibra umana, nella sua condizione di Madre che cerca a tutti i
costi di difendere suo figlio. Una donna, insomma, pienamente donna perché
Cristo si è fatto carne nella sua vita.
Un’icona quotidiana
In questo mistero
dell’incarnazione, ciò che colpisce è la posizione in cui viene collocata
Maria. Da una parte assume una posizione fisica di avvenenza e di rispetto, dall’altra
viene collocata nella cornice quotidiana di una città. Non fra angeli e oro, ma
su un balcone che si affaccia sul mondo. Questa è la geniale intuizione di
Petrov-Vodkin, in quanto ci dice che la relazione che noi viviamo con Dio, è
già una finestra aperta sul mondo. Chi pensa di fuggire dal mondo per amare
esclusivamente Dio, ha costruito il suo idolo da adorare, mentre chi cerca
ancora Dio si affaccia sull’abisso del mondo. Un altro elemento curioso è il
fatto che le icone, nella tradizione orientale, viene chiamate, appunto,
finestre da cui il mistero di Dio raggiunge gli esseri umani. Qui, allora, è
come mettersi dalla parte di Dio che guarda il mondo, le cui pupille scrutano ogni uomo.
Nell’incarnazione di Maria, abbiamo l’occasione sempre nuova di metterci dalla
parte di Dio, di guardare gli altri con quello stesso amore e con quella stessa
passione con cui Dio ci guarda.
Inoltre, ciò che viene
rappresentato alle spalle di Maria, non è una scena di guerra o un naufragio o
un terremoto o un’altra condizione per cui rivolgersi a Dio. La scena che si
apre alle spalle di Maria è la scena quotidiana di ogni nostra città, la scena
più comune che potremmo incontrare. Nessun effetto straordinario, nessun colpo di
scena, nessun evento tragico, solo l’essere umano in tutta la sua quotidianità.
Ed è in questo tempo che Dio ci guarda, che Dio ci ama, che Dio si fa carne nella
nostra stessa vita. Proprio in questo tempo che non sembra speciale per nessuno,
che non richiama l’attenzione. Un tempo in cui non compiamo cose eccezionali, ma
cose grandi perché siamo dinanzi all’amore di Dio, anzi siamo nell’amore di Dio,
quello stesso amore che è lo Spirito.
La carne dell’essere umano e lo sguardo di Dio
Eco, allora, cosa ci
insegna, la Madre di Petrov-Vodkin, la
quotidianità intrisa dell’amore di Dio. Tutto ciò che è umano, tutto il mistero
dell’essere umano che traspare dallo sguardo e dalla carne bronzea di questa donna,
viene assunto dal Padre per far nascere suo Figlio Gesù. E quel bambino che dorme
fra le braccia di sua madre, diviene la sintesi di tutto l’essere umano nella sua
relazione con Dio. Tutte le azioni quotidiane, tutti i nostri incontri, tutte le
nostre relazioni vengono sintetizzate nella mano, colma di fiducia, di un bambino
che incontra le mani di sua madre. E in questo intreccio, in questo abbandono fiduciale,
in questa speranza che il mondo non stia per finire ora ma che, insistentemente,
continui, c’è tutta la speranza di ogni uomo e di ogni donna in relazione a Dio.
Una speranza che si abbandona e che si intreccia con ogni speranza umana. Una speranza
che diventa carne, che ci colloca qui, agli spartiacque fra il divino e l’umano.
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