Questo è celebrare!
Questo è celebrare! Uno destinato a celebrare
Come il metallo dal silenzio della pietra
Scaturiva. E il suo cuore, oh effimero torchio
Di un vino perenne ad ogni sete umana.
Ma nella polvere si estingue la sua voce
Quando l’esempio divino lo afferra.
Tutto si fa uva, tutto vigneto
Maturato nei tepori del suo sud.
Non la putredine da fosse di regnanti
Copre la menzogna della sua lode,
o un’ombra che declina dagli dèi.
È lui uno dei perenni messaggeri
Che già lontano, alle porte dei morti,
calici con frutti di lode depone.
Rainer Maria Rilke, Questo è celebrare
Una sorgente segreta: celebrare
Nella poetica di Rilke
ritroviamo questa splendida poesia fra i Sonetti
di Orfeo. Una poesia che richiama non solo il celebrare una messa, il che
sarebbe solo un rito, ma un celebrare che riguarda ogni rito. Quello trascritto
da Rilke è un celebrare che riguarda ogni essere umano, un celebrare
universale. Non è solo il rituale da rispettare, ma una interpretazione delle
sorgenti della vita stessa, un tentativo sempre nuovo di poter tornare alle
sorgenti della grazia. Questo è celebrare, una sorgente segreta in ogni essere
umano. Dove per celebrare intendiamo da una parte tornare andare alle sorgenti
della vita, dall’altra trarre forza e giovamento per la vita stessa. Guardando
alla Scrittura, ogni celebrazione, dai riti antichi istituiti con Mosè alla
celebrazione della Pasqua, hanno sempre questa valenza di fondo. Ed è qui,
proprio qui, che Cristo Gesù si è inserito con la sua Pasqua. In fondo, cos’è
la Pasqua di Gesù se non la ripresa di una celebrazione antica portata a
compimento? E viene portata a compimento perché la celebrazione di Gesù è
quell’effimero torchio di un vino perenne
ad ogni sete umana. Per dirla in altre parole, Gesù ha dato compimento da
ogni celebrazione dal momento che ha offerto se stesso e, offrendo se stesso,
ha dato la risposta definitiva ad ogni domanda umana, ad ogni richiesta di
tornare alle sorgenti della vita, ad ogni celebrazione. E quando celebriamo siamo
proprio come il metallo dal silenzio
della pietra ovvero percepiamo che oltre la durezza della nostra vita c’è
qualcosa di perenne, c’è un metallo impercettibile ad ogni rumore, che permane
e insiste, e che chiamiamo fede.
La parola, la testimonianza, l’integrità
La celebrazione, poi,
oltre ad essere un tornare alle origini della nostra vita è anche un vivere
nell’oggi quello che abbiamo celebrato. Per questo ogni celebrazione è, al
tempo stesso: parola, testimonianza, integrità. Ogni celebrazione non si estingue mai nella polvere, ovvero non
si perde mai nel futile e questo ci può permettere anche di comprendere quando
davvero stiamo celebrando o no. Quando una parola non cade nella vacuità e
nella vanità del nostro compiacimento, ma la sentiamo vera e consistente per
noi, allora stiamo celebrando. E la parola diviene testimonianza quando l’esempio divino afferra chi sta
celebrando. La parola non è solo dottrina, non è solo un insegnamento, ma
riguarda tutta la nostra vita, tutta la nostra storia. Ecco perché possiamo
parlare di testimonianza e non solo di parole ma di Parola. Insomma, possiamo
dire che la testimonianza inizia quando la Parola
si fa carne, ed è questa la rivelazione più grande, quell’esempio divino
che ci rende tutto uva, tutto vigneto.
Una testimonianza che diviene integrità, non perché siamo perfetti, ma perché
c’è una Parola d’amore per noi, pensata dall’inizio del mondo, solo per noi.
Solo l’amore ci rende integri, ci rende figli del Padre nostro.
La lotta e la purezza
Ma l’essere integri
non è possibile senza la lotta. La purezza non è qualcosa che si acquista con
la morale o con la sola volontà. La purezza è sempre una lotta contro la putredine da fosse di regnanti ovvero
una lotta contro ogni potere che tenta di sottometterci a sé. Celebrare la
vita, allora, significa non sottomettersi a nessuna dottrina, a nessuna
ideologia, a nessuno schema preimpostato. Celebrare la vita significa lottare
per la libertà di essere figli di Dio. Una libertà che non ci siamo dati noi ma
che ci è stata già donata dalla resurrezione di Cristo. Infatti, se eravamo
schiavi del peccato e della morte, con la resurrezione di Cristo, ogni
putredine ci è stata tolta, e noi abbiamo acquisito una nuova vita, una vita da
risorti, una vita da figli. Ecco perché la purezza non è qualcosa di morale o
non è un trasgredire o meno a qualche comandamento. La purezza è essere liberi
perché figli dell’unico Padre e celebrare la vita è lottare contro tutto ciò
che vuole ancora oscurare la nostra libertà, non farci risplendere come astri
nel mondo, lottare contro ogni ombra che
declina dagli dèi, contro ogni falso dio.
La lode e la sfida alla morte
Infine, celebrare è
anche una sfida alla morte. Celebrare la vita significa anche rimanere in vita,
rimanere nella vita. Significa anche non arrendersi alla morte, non lasciare il
passo alla morte, non cedere alla morte. Rimanere in vita è il desiderio più
profondo di ogni essere umano e il celebrare la vita è sempre servito,
simbolicamente, per esorcizzare la morte, per allontanarla. Nella celebrazione
cristiana, però, la morte non è solo esorcizzata, ma anche attraversata. Perché
Cristo stesso ha attraversato la morte, la nostra morte, le nostre piccole
morti quotidiane. Cristo Gesù, è lui uno dei
perenni messaggeri che già lontano, alle porte dei morti, calici con frutti di lode
depone. La lode, poi, non è solo ripetere delle parole a caso, ma è un continuo
cantare la nostra vittoria sulla morte, perché Gesù ha vinto la morte. E i frutti
di cui parla Rilke sono ciò che rimane anche dopo la nostra morte fisica. Proprio
lì, alle porte della morte, si alza la nostra lode, perché tutto il bene che abbiamo
fatto rimane anche dopo la nostra morte. Tutta la nostra capacità di amare è la
vera lode che rimarrà, nella celebrazione della vita.
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