Simondon e la questione della tecno-estetica

L’estetica come mediazione fra tecnica e sacro


Gilbert Simondon (1924-1989) è stato un filosofo francese che ha incentrato i suoi studi sul legame esistente fra la tecnica e l’estetica. Ci spiega tutto questo un articolo comparso sulla rivista Aut-aut di Xavier Guchet, Simondon e la tecno-estetica. Per Simondon, la questione non è solamente pensabile sul piano estetico delle belle forme, ma anche sulla questione dell’utilità tecnica dell’estetica. La nascita delle tecno-scienze contemporanee, spingono il nostro filosofo non solo a pensare la riproducibilità tecnica, ma a guardare il mondo intero come un complesso organismo di funzioni e di interazioni. Insomma, non è più il tempo di distinguere la tecnica e l’estetica come semplici materie o prospettive che guardano il reale, ma occorre una tecno-estetica dove la percezione del mondo possa essere inscritta dentro le relazioni con la bellezza estetica e l’utilità tecnica. Insomma, l’estetica non riguarda più la contemplazione come la tecnica non riguarda più solo la riproduzione, ma entrambe cooperano verso una spiegazione, creazione, interazione con il mondo e con la realtà. Da questa prospettiva comprendiamo la presa in carico etica e politica della stessa tecno-estetica nella sua incisività sul reale.

Il punto di partenza di Simondon è la funzione stessa dell’arte. Le belle forme, secondo il nostro Autore, sono in sovrapposizione alla realtà, in quanto l’arte stessa ricalca immagini che prende dal mondo reale. Ora, l’arte può anche assumere il compito di rivestire l’oggetto tecnico, rendendolo più interessante e appetibile, ma per Simondon questo non basta. L’oggetto tecnico ha bisogno di essere riconfigurato attraverso l’estetica, ovvero ha bisogno di essere inserito nel contesto in cui si trova. Non possiamo pensare, allora, che un oggetto vada bene a prescindere dal contesto in cui si trova. Tecnica ed estetica, per questo, servono a collocare un oggetto nel suo contesto, servono ad individuare un oggetto, dove per individuazione Simondon intende l’unicità dell’oggetto stesso e la sua capacità di ricreare il reale. L’estetica permette, allora, alla tecnica di non cadere nell’anonimato della riproducibilità e la tecnica permette all’estetica di non scadere nella pura ricerca formale.

Da notare, inoltre, come per Simondon l’anonimato della tecnica è scaturito dalla separazione della tecnica dalla religione primitiva, ovvero dal sacro.

Tecnica e vita: emozioni tecno-estetiche

L’intreccio fra tecnica ed estetica, per Simondon, è impossibile senza la dimensione della religione. Scrive Guchet:

Simondon pone il problema di un valore comune alla tecnicità e alla sacralità, cioè di un valore comune alla norma tecnica e alla norma propria del vivente. Questo valore comune è dato dall’estetica, definita come ciò che apporta una considerazione per la normatività vitale nell’ambito stesso delle operazioni tecniche.[1]

Per Simondon, la tecnica è il mezzo con cui l’essere umano esprime se stesso nella realtà. Tuttavia, questa tecnica ha bisogno sempre del valore del sacro, che Simondon intende come valore dell’integrità della persona. Per Simondon, allora, l’estetica intesa come percezione del reale, è ciò che permette una sintesi fra la tecnica e il sacro, in quanto stabilisce come e dove l’essere umano possa intervenire. Dalla dialettica fra tecnica ed estetica, allora, non emerge solo la funzionalità dell’uno in relazione all’altra, ma il modo stesso con cui gli esseri umani interagiscono fra di loro, ma anche con tutti gli altri organismi viventi. Infatti, la particolarità di Simondon è che, quando parla dei viventi, non intende esclusivamente gli esseri umani, ma ogni organismo vivente. Per questo, la tensione fra tecnica e sacro è possibile solo in una percezione estetica del reale, solo quando riconosciamo non solo di vivere la nostra vita, ma di appartenere ad una vita complessa nelle sue interazioni.  

Un concetto normativo della tecno-estetica

A questo punto, Guchet espone il valore della normatività della triade tecnica, estetica e sacro. L’obiezione che si può rivolgere a Simondon, che rivolge anche Guchet, è che l’evoluzione della tecnica è riuscita a produrre anche le camere a gas. Se questo è vero come è vero, allora ci chiediamo come la tecnica possa davvero essere a favore dell’essere umano e non rivolgersi contro di lui. A questo punto, Simondon inserisce il suo concetto di sacralità della vita come visione integrale di ogni organismo vivente. Ma la risposta di Simondon cerca di non essere fin troppo scontata.

È bene dunque precisare almeno che tale sguardo di sacralità, il quale coglie nell’essere un’“unità indissolubile e omogenea [...] come se la totalità fosse inanalizzabile”, non equivale però a importare nell’ambito tecnico il punto di vista normativo in quanto Simondon definisce un’“assiomatica umana già storicizzata” (sotto forma, per esempio, di una lista di principi etici generali). D’altronde, Simondon precisa che il “postulato olistico, presentato spesso come un’attitudine rispettosa della vita, della persona [...] è forse nient’altro che una soluzione di pigrizia [...]. Una vera e propria attitudine tecnica sarebbe più fine di un globalismo facile o di un integralismo del giudizio morale”.[2]

Insomma, per Simondon, non c’è uno scarto fra la dimensione tecnica e la dimensione sacrale, in termini di un divieto moralmente imposto. La questione non può essere risolta con un limite fissato per la tecnica e per il proprio campo d’azione. La vera svolta di Simondon è nell’integrazione fra la tecnica e il sacro, attraverso l’estetica. È l’estetica che ci permette di percepire l’integrità della persona, ancor prima della regola morale. E questa integrità è possibile perché l’estetica considera la molteplicità degli esseri senza frazionamento. Se la tecnica mira ad una separazione e ad una conoscenza del reale attraverso le funzioni proprie di ciascun individuo, il sacro considera l’individuo nella sua totalità, l’estetica permette di trait d’union fra i due dal momento che percepisce la molteplicità degli esseri viventi senza isolarli.

Agli spartiacque di estetica, tecnica e sacralità

Se la norma della tecnica è data dall’estetica come percezione della molteplicità degli esseri viventi, non solo umani, è il senso del sacro che pone la prospettiva della totalità, di quello che potremmo chiamare anche mistero del reale. La tecnica, allora, ci permette di incidere nel reale, costruendo noi stessi nel reale. Scrive Guchet:

Di conseguenza, per Simondon come per Canguilhelm, la tecnica si misura col metro della normatività vitale, sebbene non nell’ottica secondo cui la tecnica “prolungherebbe” la vita. La tecnica non è una continuazione dello slancio vitale, e non è più nemmeno la proiezione di organi come in Kapp o anche nello stesso Bergson; è instaurazione, attraverso il vivente, di valori che non sono tali se non in relazione alla normatività del vivente stesso. Definizione della tecnica, questa, molto importante soprattutto nella nostra epoca di sviluppi tecnologici, in particolare nell’ambito delle bio e delle nanotecnologie, che trasmettono l’impressione che si abbia a che fare piuttosto con produzioni dell’intelligenza scientifica, intervenute nel vivente da un punto di vista completamente esterno alla vita e non più, quindi, esteriorizzazione delle funzioni biologiche negli oggetti tecnici, secondo la logica della proiezione organica o dello slancio vitale prolungato in invenzione tecnica; ma, ormai, interiorizzazione della tecnica nei viventi, secondo una logica propria alle tecniche e non alla vita stessa.[3]

Il cambio di paradigma nella tecnica è proprio qui: da prosecuzione dei nostri sensi ad invasione del nostro stesso spazio vitale. Dall’uso della tecnologia in ambito medico alla tecnologia smart che ci circonda, comprendiamo bene come la questione tecnica sollevata da Simondon abbiamo sempre più bisogno dell’estetica come percezione della vita biologica. In buona sostanza, la tecnica non è né buona né cattiva, ciò che la rende di importanza vitale sia per la crescita come per la distruzione dell’umanità, come di ogni altro essere vivente, è l’estetica, la bellezza della percezione e la percezione della bellezza. Ed è l’estetica che può indirizzare la tecnica verso la vita, ricollegando anche la tecnica al mistero del sacro, alla totalità di ogni essere vivente, allo spartiacque del suo abisso insondabile.

 



[1] X. Guchet, Simondon e la tecno-estetica, Aut-aut 377 (marzo 2018), Il Saggiatore, Milano 2018, p. 85.
[2] Ivi, p. 89.
[3] Ivi, p. 89-90.

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