L'Apostolo Simone di Rembrandt: la terra e la luce
L'Apostolo Simone è
una delle opere minori di Rembrandt, appartenente ad una serie di dodici
rappresentazioni che richiamano i Dodici Apostoli. Riusciamo a descrivere la
figura che troviamo nel dipinto come l'apostolo Simone a causa del manico di
sega che esce da sotto il braccio e prosegue verso la parte inferiore. L'Apostolo
Simone è una delle ultime opere di Rembrandt e rispecchia tutta la
nostalgia e l'attesa dell'autore negli ultimi anni della sua vita. Infatti, se
il giovane Rembrandt era un tipo ribelle, sgargiante, vivo e pieno di colore
nelle sue opere, dopo la perdita dei suoi beni e la morte di sua moglie e di
suo figlio, ecco che i colori diventano sempre più tenui e gli sguardi
meditativi.
Il vestito dell'Apostolo Simone richiama le umili vesti del
falegname, ma anche il colore della terra. Sono queste le vesti che Rembrandt
dipinge e che indicano sia il lavoro di Simone secondo la tradizione, sia la
materialità della terra che rivestite l'apostolo come ogni uomo. Le vesti,
allora, richiamano l'umiltà della condizione umana, la piccolezza e la
fuggevolezza della vita. Ma anche l'essenzialità, la forma sostanziale del
mondo, la carne viva di cui è intessuto l'essere umano e che si forma anche con
il suo lavoro. Le mani callose e la sega nella mano ricordano la fatica del
lavoro, l'operosità degli uomini che lavorano per giungere nuovamente alla
terra. Perché la terra è l’elemento primario dell'uomo, il suo polvere, lo
scorrere dei suoi giorni senza arrestarsi. Ed è questo che vuole ripresentare
Rembrandt parlando sia della sua vita sia di quella di ciascuno di noi, in
quanto essere umano.
Tuttavia, la materialità della terra è priva di significato senza la luce
ad illuminarla. Non vedremmo nulla e non riusciremmo a riconoscere neanche
l'apostolo se non fosse per la luce. Ma la luce che illumina il volto
dell'apostolo e le sue vesti non proviene da un punto in particolare; è una
luce diffusa. Non ci sono finestre o spiragli da cui possiamo dire con certezza
che provenga la luce, ma la luce proviene da una fonte che è situata in alto e
che illumina l'apostolo quasi in diagonale, tracciando l'ombra del volto sulla
spalla sinistra. Rembrandt ci vuole dire che la fonte della luce non è
semplicemente quella fisica del sole, ma è una luce che proviene da altrove,
una luce superiore che illumina e mette in risalto il color terra
dell'apostolo. Una luce divina che mette in risalto le rughe e i calli sulle
mani dell'apostolo, che traccia solchi nell'umanità della terra. Questa è, in
fin dei conti, la luce divina che non prescinde dalla nostra condizione umana
ma che si incarna nella condizione umana. Ed è questo incrocio fra la terra e
la luce che il volto di Simone si fa meditativo, interrogante, quasi trascinato
via dal tempo. Rembrandt sembra dirci che, nella polarità fra terra e luce, fra
il simbolo dell'umanità e il simbolo della divinità, riscopriamo una vita che è
oltre il trascorrere dei giorni e che ritroviamo proprio nel trascorrere del
tempo. Infatti, per riscoprire la luce nel nostro essere terra, ci occorre
tornare sulle esperienze vissute, avere uno sguardo meditativo sull'esistenza,
che si dirige verso di noi, ma che supera anche noi stessi, che si dirige
persino fuori dal quadro, fuori dallo spazio e dal tempo. In questo modo,
l'eterno diventa umano, il Dio diventa Uomo, la terra umana viene fecondata
dalla luce divina. E rinasce la vita.
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