Itaca, la nostalgia della terra
https://www.youtube.com/watch?v=TdPauTRKRo0
La canzone Itaca, contenuta ne Il sangue e il Sal, ultimo album dei Radiodervish, riecheggia
l’omonima poesia di Costantino Kavafis. Sia nella canzone che nella poesia,
l’andamento è quello di un uomo che dà consigli. l’immagine che ci si presenta
dinanzi agli occhi è quella di un anziano saggio, forse anche Ulisse, il
celebre eroe di Itaca che consiglia noi che ascoltiamo e che vogliamo
intraprendere un viaggio. Itaca, dunque, è il simbolo sia della mèta da
raggiungere, sia del ritorno. Infatti, nell’Odissea,
Itaca non è un luogo qualunque, ma il luogo dove Ulisse stesso vuole ritornare,
non tanto un punto di partenza quanto un luogo di in giungere o, meglio, Itaca
è il luogo simbolico della partenza e della destinazione, ecco perché è il
luogo del ritorno. Poiché il ritorno è, al tempo stesso, il luogo da dove siamo
partiti e in cui vogliamo andare, un
tener fisso nella mente il ricordo di Itaca. Tutti noi abbiamo un’Itaca, un
luogo dove vogliamo tornare, un luogo originario e originante. Ed è proprio questo
luogo simbolico che dà spessore non solo alla partenza e alla destinazione, ma
a tutto il viaggio.
Molto spesso, infatti,
quando pensiamo al viaggiare immaginiamo una linea retta che parte da un luogo
e giunge in un altro luogo. Itaca, invece, ci spinge a pensare al viaggio come
una circolarità, dove il luogo del ritorno non è mai né il luogo da cui siamo
partiti né il luogo dove giungiamo. Il luogo del ritorno è sempre un luogo
altro, perché siamo cambiati noi durante il viaggio. Se ripensiamo alla stessa
mitologia di Odisseo che torna ad Itaca, egli non torna né come se stesso,
infatti torna camuffato da povero vecchio, né torna nel luogo dove crede di
trovare quiete dal momento che la sua casa è invasa dai Proci. Il mito, dunque,
ci fa comprendere come il luogo originario è un luogo in cui desideriamo
ritornare, ma non torniamo mai allo stesso modo con cui siamo partiti. Perché
fra la partenza e la destinazione c’è il viaggio, in cammino per Itaca. E nel viaggio acquistiamo l’essenziale di
ogni essere umano, la sapienza.
Il viaggio non è solo
lo spostamento da un posto all’altro, ma la trasformazione di se stessi
attraverso la sapienza. Solo chi viaggia acquista la sapienza e questo lo
riconoscevano già gli antichi. E la sapienza è nell’affrontare tante e tante
esperienze, anche le più disparate. La sapienza è un comprendere il senso della
vita e della propria vita proprio dal confronto con l’altro, con luoghi che
sono altrove, che non sono semplicemente ciò che mi è familiare ma che
rimandano all’estraneo, a ciò che non riesco a identificare. L’esperienza della
sapienza, allora, è possibile solo a chi viaggia, a chi si perde dentro la tempesta, a chi precipita nel viaggio nel silenzio che lo coprirà, a chi entra negli empori dei nemici per cercare gesti di etica, come a chi beve il vino dei Ciclopi che canta la follia.
Il viaggio, dunque, ci arricchisce, ci trasforma, inspessisce la nostra
umanità, soprattutto quando la mèta è quella del ritorno, quando rendiamo alti i nostri pensiero per
l’emozione dell’isola. Il viaggio, così, disegna le mappe del nostro cuore, ci rende persone più sagge, più
vicine alla vita concreta delle persone, ci fa giungere alla consapevolezza che
siamo tutti homines viatores, uomini
in cammino. La sapienza, allora, nella sua multiformità e pluralità è
nell’immagine delle mani che trattengono
coralli dipinti da un sole che non può finire.
La sapienza, in altre
parole, colora la nostra vita. Ma lo splendore della sapienza è data da un sole che non può finire, da una luce
diversa, da quella che potremmo chiamare anche gloria, ovvero quella luminosità
divina che rende la nostra vita altra. La luce che ci fa brillare e che ci fa
diventare altri rispetto a quando siamo partiti è la gloria divina, il
riconoscere che in ogni esperienza dell’altro si rivela l’infinitamente Altro,
Dio stesso. Questo perché chi da colore e spessore alla nostra umanità è quel
Dio che ha assunto la nostra carne umana, che ha fatto la nostra stessa
esperienza di umanità, illuminandola con la resurrezione, Cristo Risorto.
Mentre quel vento che scivola sulle rughe
sapienti di eroi naviganti che sanno morire, è il simbolo dello Spirito in
quanto esso è quel divino che imprime ogni esperienza umana dell’incisione
dell’Eterno Padre. È nello Spirito che ogni esperienza diviene sapienza, che
ogni viaggio diviene ritorno, che ogni nostalgia diviene desiderio, perché esso
incide nella nostra corporeità il soffio dell’amore del Padre. Così, l’Itaca
che viviamo è l’Itaca da cui proveniamo ed è l’Itaca che desideriamo, questo
immenso amore che ci rende più uomini e più donne, nell’amore divino Uno e
Trino.
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