La trasfigurazione: un tassello fondante 2. Dall’Oreb al Tabor



Dopo aver rieletto l’esegesi sulla Trafigurazione, con il monaco Michel Van Parys rileggiamo la tradizione omiletica bizantina, non solo per un gusto filologico ed esegetico del testo, ma per una vera e propria lettura spirituale della Trasfigurazione.
Il brano evangelico della Trasfigurazione è presente in tutti e tre i sinottici, tuttavia ciascuna narrazione mette in risalto alcuni particolari che favoriscono un’ottica diversa all’episodio stesso. Già dai primi secoli del cristianesimo questo episodio viene letto e riletto alla luce della resurrezione, del compimento escatoloco, di ciò che oggi è Cristo e che domani saremo anche noi. Van Parys ci fa notare che, dopo le prime omelie contenute negli Atti di Pietro e negli Atti di Giovanni, è Origene che fa un passo decisivo nella rilettura della Trasfigurazione in chiave spirituale. Scrive Van Parys:
Al centro della spiegazione di Origene si trova la rivelazione dell’essere autentico di Cristo, Figlio di Dio Padre. L’ascensione della montagna santa simbolizza l’ascesa spirituale del cristiano; la gloria di Cristo è percepita in funzione delle tappe del progresso nelle virtù, della purificazione dai vizi e dai peccati, e indica dunque alcune esigenze etiche; egli attribuisce grande importanza alle parole “davanti a loro” (Mt 17,2): la bellezza di Cristo e della parole della Scrittura cresce con il progresso spirituale del discepolo; Mosè rappresenta la Legge, Elia la profezia; l’intervento di Pietro si spiega con il suo desiderio di rimanere nella contemplazione; la nube e la voce potrebbero indicare la Trinità, ma Gesù stesso potrebbe essere la nube luminosa; Origene dà poi tre motivazioni del silenzio imposto dal Signore agli apostoli.[1]
Iniziamo già con Origene a guardare come la Trasfigurazione sia letta in una prospettiva teologica e spirituale, anzi che proprio la Trasfigurazione ricucia l’idea di Dio con la sua esperienza, il cammino del discepolo con ciò che egli può dire su Dio. Nella trasfigurazione, dunque, ritroviamo una lettura esperienziale e sapienziale che viene messa in luce da Origene stesso. Michel Van Parys, così, fa risalire alla lettura teologica di Origene tutte quelle omelie di carattere festivo diffuse nella Chiesa bizantina.
Invece, ad un altro grande esegeta come Teodoro Studita, Van Parys fa risalire tutte quelle catechesi di stampo monastico. Le catechesi monastiche di Teodoro Studita prima e poi di Niceta Stethatos e di Giovanni Cassiano riflettono il tipico ambiente monastico bizantino, dove l’ascesi e la preghiera sono i mezzi per giungere all’incontro con Cristo Trasfigurato. Abbiamo, quindi, un accento maggiore sull’ascesi come via per incontrare Cristo e, così, esserne trasfigurati. Accanto alle catechesi monastiche, in seguito, si iniziano a sviluppare altre omelie appartenenti alla ricca tradizione bizantina. Ci basta ricordare, in questa sede, l’Omelia 56 di san Giovanni Crisostomo e di tutta la sua eredità che passa da Proclo di Costantinopoli a Efrem il Siro, in cui si pone maggiore attenzione non solo all’ascesi ma alle figure di Mosè ed Elia, che indicano una teofania cosmica. Dopo aver analizzato queste omelie, Van Parys si sofferma sulla omelia per il giorno della Trasfigurazione di Anastasio Sinaita. In questa omelia, infatti, la particolarità è data dal collegamento dei due monti: l’Oreb e il Tabor. Due monti su cui Dio ha parlato. Infatti, sul monte Oreb ha parlato a Mosè e ad Elia e il monte Tabor su cui non solo ha parlato ma si è rivelato. E rivelando se stesso nel Figlio Gesù, ha rivelato anche il senso ultimo del nostro essere, il nostro essere trasfigurati. Infine, l’ultima omelia che Michel Van Parys prende in esame è quella di Teolepto di Filadelfia, il quale pone l’accento sui tre discepoli che Gesù sceglie e porta sul monte. Pietro, infatti, simboleggia l’uomo casto che vive la sua vita nella continenza, Giacomo l’uomo che ha rinunciato al mondo, Giovanni è l’uomo meditativo che è abitato dalla Scrittura. I tre discepoli, dunque, non sarebbero solo degli individui ma delle personalità che apparterrebbero a ciascuno di noi, a coloro che si mettono alla ricerca di un cammino ascetico, che desiderano frasi abitare dalla Scrittura. Ed è qui che Van Parys conclude dicendo:
la trasfigurazione del Signore Gesù è divenuta, sempre di più nel corso dei secoli, il punto di incontro di tre domande essenziali per la teologia e la mistica cristiane. Come comprendere (e vivere) la duplice affermazione che mai nessuno ha visto Dio e che chi ha visto il Figlio fatto carne ha visto il Padre (Gv 1,18 e 14,9)? Che cosa è questa gloria del Cristo trasfigurato, risplendente di una luce sovraterrestre? E infine in che modo lo Spirito santo trasforma gli occhi corporei e spirituali dell’uomo divinizzato per mettergli di contemplare questa gloria?[2]
Nel passaggio dall’Oreb al Tabor, nella trasfigurazione del Figlio, quindi, possiamo guardare ad un passaggio nuova e inaudito in tutta la storia dell’essere umano. La Legge che Dio ha dato sull’Oreb, la voce di un silenzio leggero, ora si sono fatti visibili in Cristo Gesù. Ora, la nuova Legge è la trasfigurazione. Una luce che risplende e rischiara.



[1] M. Van Parys, Dall’Oreb al Tabor: il Cristo trasfigurato nelle omelie bizantine, in Aa. Vv., Il Cristo trasfigurato nella tradizione spirituale ortodossa. Atti del XV Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa, Qiqajon, Magnano (Bi) 2008, p. 73.
[2] Ivi, p. 103.

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