Gloria, ovvero sfuggire alla morte
https://www.youtube.com/watch?v=c-0nwrP3DaI
Nel 2010 dalla chitarra di Zucchero vennero fuori le note di É un peccato morir, singolo che si gioca, fondamentalmente, su due parole: la
gloria e la morte. Tuttavia, la dialettica che si nasconde dietro questi due
elementi non é semplicemente una polare, ma prima di tutto esistenziale. A
Zucchero, come a noi del resto, non interessa che ci sia una polarità fra due
termini, quanto che questa dialettica interessi la nostra vita. Per questo
possiamo parlare di una dialettica esistenziale, dove il centro non é
indifferente da uno o dall'altro fuoco. Ecco perché: Gloria, é un peccato morir. I due termini sono legati da una esclamazione che diviene
una presa di consapevolezza. Il peccato, dunque, non é una questione morale, ma
la tragedia di dover morire nonostante si sia vista la gloria. O, meglio,
proprio perché abbiamo visto la gloria ci dispiace morire. Ma questa
consapevolezza ci pone dinanzi ad un orizzonte molto più ampio. Infatti, nelle
parole di Zucchero ritroviamo il desiderio di non voler morire proprio perché
si é contemplata la gloria. Ma questo ci spinge a guardare alla gloria come
qualcosa che possiamo contemplare, mentre alla morte non semplicemente come
qualcosa di contrapposto alla vita. Leggendo il testo di Zucchero, possiamo
riconoscere la gloria non semplicemente come atto morale, come qualcosa di
contrapposto al peccato, ma come qualcosa che illumina, che si fa presente, che
rimanda ad altro. E la gloria, nelle parole di Zucchero, rifulge nelle
amicizie, nell'infanzia, nei luoghi in cui l'autore é cresciuto, negli amori,
nel senso più ampio e comprensibile. Insomma, la gloria racchiude il divino e
lo manifesta nella storia: gloria a te, o divino. Dove l'altra vita da suino, é una vita senza scopo, senza motivazioni, senza fini, una
vita persa a rantolarsi nella dimenticanza della gloria. Invece, la gloria
rivela proprio questo, rivela una presenza che non si fa vedere, che non é
visibile da tutti, che non é spettacolarizzabile. La gloria é la visione, più
che lo spettacolo. Dove la visione é la presenza del divino in chi incontro,
nelle relazioni che hanno aperto la mia vita all'altrove. E sono relazioni di cui
abbiamo memoria, ma anche relazioni che viviamo nell’istante del presente, in un
momento che ci apre all’eterno. C’è sempre, dunque, nella gloria questa particolarità:
l’irrompere dell’eterno nel tempo, il dilatarsi del tempo in un passaggio dalla
continuità alla discontinuità, dal trascorrere delle ore alla durata dell’istante.
Questa è la gloria divina, che ci viene incontro e che ci apre orizzonti nuovi.
Fino a poter vedere ciò che, per noi, non è possibile, addirittura l’impossibile.
E trasformarlo in canto, per sfuggire alla morte.
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