Nel mezzo della libertà
L’uomo, per la sua parte razionale é unito alla ineffabile e
divina potenza, mentre quanto alla sua parte corporale é imparentato con gli
animali. E sono pochi gli uomini perfetti e ragionevoli che si danno cura di
avere il loro pensiero conforme alla parentela col Dio Salvatore, il che si
manifesta mediante le opere e la vita virtuosa. I più invece, nella stoltezza
della loro anima, abbandonano quella divina e immortale figliolanza per
volgersi alla parentela di morte, infelice ed effimera, propria del corpo: come
i bruti hanno sentimenti carnali e sono attaccati alle voluttà: così i bruti si
allontanano da Dio e trascinano l’anima giù dai cieli fino al baratro, grazie
alle loro volontà proprie.
Antonio il Grande, Avvisi 42
Proprio lì, sempre lì, lì nel mezzo. Così cantava Ligabue nella sua Vita da mediano, riferendosi soprattutto
al ruolo di un calciatore. Eppure, questo può essere il vero paradigma della
libertà, più che del calcio. Ciò che ci dice Antonio il Grande a proposito
dell’essere umano, nella sua ontologia della libertà, è nell’essere nel mezzo.
Ciascuno di noi, uomo e donna, si è trovato nel corso della propria esistenza
ad essere lì, nel mezzo, a fare esperienza di una libertà che è inserita fra il
tutto e il nulla, fra l’essere il più grande e il migliore uomo e donna sulla
terra, e poi sentirsi il peggiore di tutti, per un piccolo sbaglio. Ma questa è
la vera ontologia della libertà, dove il nostro essere è a metà nello
dispiegarsi di tutte le sue potenzialità. Chiamati ad essere talmente grandi,
perfetti come il Padre, dice Gesù, ma anche talmente infami e peccatori da non
meritare nulla, neanche un briciolo di compassione. In questo si gioca il
movimento ontologico della libertà, dove ontologia significa che il nostro
stesso essere può raggiungere la sua pienezza o svanire nell’oblio. Sempre in
questa tensione, sempre in biblico, sempre nel mezzo, fra il tutto e il nulla.
Ma tutto questo potrebbe farci rimanere lì, nel mezzo, nell’equilibrio, nella
precarietà di una vita che non sa scegliere. Una libertà che ci pone nel mezzo
non si esaurisce nel mezzo della libertà, altrimenti rimane mediocrità. Per
questo motivo, dunque, la libertà è disequilibrio, e sporgersi, è mettersi in
movimento, in una parola, è scelta. Ed è qui che si instaura la nostra relazione
esistenziale con Cristo, dove Cristo è lo squilibrio, è colui che ci pone
dinanzi ad una scelta, è colui che chiama e che spinge ad una scelta, ad uscire
da sé per non ristagnare nella stasi, per non permettere che la libertà da
porci nel mezzo diventi mediocrità. E l’incontro con Cristo è vivo e
vivificante nella misura in cui la volontà di rispondere a questa chiamata viene
coltivata dalla vanga dello Spirito. Dissodare il terreno che siamo per
renderlo Terra Promessa, questo è il cammino della libertà.
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