Mosè: l’illusione e la promessa
Caro Pavel, ricordi
Mosè? Questo grande uomo, questo assassino che Dio ha utilizzato come strumento
per la liberazione del suo popolo? Egli che aveva ucciso un egiziano che stava
frustando uno schiavo ebreo, ecco che diviene il liberatore del popolo di Dio
dall’Egitto. Non perché egli fosse il migliore di tutti, perché fosse l’uomo
migliore che Dio avesse trovato sul suo cammino, ma perché era sicuramente
l’uomo che più di ogni altro aveva bisogno di Dio, l’uomo che più di ogni altro
si era arreso all’evidenza della sua stessa vita meschina, tanto che da
principe si era ridotto a fare il pastore del gregge di un altro. Ma qui non ti
voglio parlare delle sue gesta quanto della promessa che Dio gli ha fatto e
come essa sia mutata nel corso del tempo, fino alla sua morte. L’ultima volta
che troviamo Mosè è lì, sul monte Nebo. Da quel monte Dio gli fa contemplare
tutta la terra che aveva promessa ad Abramo, Isacco e Giacobbe. Mosè ha dinanzi
agli occhi la promessa di Dio, eppure lui non entrerà in quella terra (Dt
34,1-4). Dopo il passaggio del mar Rosso, dopo tutto il cammino che aveva
compiuto nel deserto, per ben quarant’anni, ecco che Mosè non entra nella Terra
Promessa, ma la vede solo da lontano, dal monte Nebo, dove morirà. Dal nostro
punto di vista questa sembrerebbe una ingiustizia bella e buona, ma il brano ci
spinge a portare lo sguardo un po’ più avanti alla nostra prospettiva. Se,
infatti, guardiamo a ciò che Mosè ha dinanzi agli occhi, riconosciamo cosa
significhi promessa. Se per il popolo
di Israele, la terra è la grande promessa che Dio aveva fatto ai loro padri,
per noi la promessa è molto altro. Infatti, la promessa contiene in sé una
certa dose di illusione delle aspettative, perché la promessa non si realizza
mai secondo le nostre aspettative. Il fatto che Mosè abbia guardato da lontano
la Terra Promessa ci fa intuire proprio questo: che la promessa non coincide
mai con le nostre aspettative. Se Mosè si aspettava di poter entrare nella
Terra Promessa, ecco che Dio gliela farà guardare da lontano, perché prima di
morire Mosè imparasse il segreto della promessa stessa, ovvero l’apertura a
Dio. Ma questo non è avvenuto solo a Mosè, ma a ciascuno di noi quando abbiamo
assimilato una promessa alle nostre aspettative, a ciò che volevamo noi.
Ebbene, la promessa ci permette di andare oltre ciò che vogliamo noi, di non
pensare che tutto si fermi dinanzi alle pretese della nostra volontà e del
nostro ego-centrismo. La promessa, infatti, apre ad un’altra dimensione che è
quella relazionale, piuttosto che quella della volontà, all’incontro più che a
ciò che io penso. Ecco perché la promessa conserva in sé sempre una dose di illusione,
di mancanza, di sofferenza che fa emergere la nostra stessa volontà ferita
nelle sue aspettative e aperta alla promessa dello Spirito.
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