Il mostro e l’inutilità della ragione



In uno degli ultimi numeri dei Quaderni Materialisti, Davide de Pretto ha scritto sulla questione della mostruosità legata all’immaginazione, focalizzando l’attenzione sui secoli XIV e XVI, dove l’immaginario é stato popolato dai mostri. Basterebbe pensare alle incisioni di Goya come di altri autori, tuttavia, anche il panorama filosofico dell’epoca risente del tema del mostruoso. De Pretto ne ricorda, infatti, tre: Bayle, Malebranche e Locke. Già dalle prime battute, De Pretto scrive:
Siffatta spettacolarizzazione, abbastanza comprensibile nel secolo della “meraviglia” marinista, era dovuta principalmente alla valenza semantica del mostro, crocevia di innumerevoli posizioni intellettuali che si intersecavano e si combattevano senza tregua. Mostri erano giudicati anche le tempeste, i terremoti, le eruzioni vulcaniche, le grandinate, i “fragori d’aria” e soprattutto le comete, autentici “mostri del cielo”, che spesso venivano descritte con tratti marcatamente mostruosi: nel De mostres et prodiges Ambroise Paré descrisse quella del 1527 come dotata di braccia e mani reggenti “un gran numero di asce, pugnali, spade insanguinate, tra le quali era un gran numero di facce umane, con barbe e capelli irti”.[1]
Partendo dal pensiero di Bayle, possiamo notare come i mostri siano legati all’immaginario dell’epoca, un po’ per moda, un po’ perché non abbiamo ancora una separazione fra natura e immaginario. L’interpretazione del mondo, dunque, risente ancora di un fascino che é quello dell’eccezione, del miracolo, del prodigio. La natura, dunque, viene interpellata solo per i segni che lascia, solo per ciò che ancora riserva, ma non per quello che é. Secondo Bayle, dunque, il mostruoso é un parto dell’immaginazione collettiva, come segno di una società che desidera vedere qualcosa di mostruoso. In altre parole, si viene a creare una vera e propria smania di partecipazione del grande pubblico solo a ciò che é spettacolare, a ciò che, appunto, viene mostrato. Il mostruoso, allora, si lega necessariamente a ciò che viene visto, a ciò che tutti desiderano vedere in quanto eccezione. Dagli esseri umani al cosmo, tutto é in qualche maniera spettacolarizzato più che conosciuto e riconosciuto. Ebbene, Bayle ci spinge, invece, a guardare ciò che nella natura ha una sua continuità di cui l’eccezione non é che qualcosa che ancora non conosciamo, più che l’enigma indecifrabile di un dio che combina innumerevoli casi di cui i mostri sono un errore di calcolo. 
Se per Bayle, i mostri sono segni dell’immaginazione, per Malebranche essi hanno una spiegazione meccanicista che risente delle teorie di Aristotele e Descartes. Per Malebranche, infatti, i mostri sono coloro che subiscono l’influsso dell’immaginazione materna. Malebranche credeva che la nascita di mostri fosse influenzata dai traumi che la madre vive nella fase di gravidanza. In questo modo, dunque, i mostri sono davvero dei parti dell’immaginazione, in quanto i forti traumi che una madre vive si vengono ad incidere sul cervello del feto che, per questo, nasce deforme. Se questa teoria risente delle teorie meccaniciste di Malebranche, tuttavia ci spinge a puntare lo sguardo sul legame fra l’immaginazione della madre e quella del figlio nel momento della gravidanza. Esiste una qualche forma di legame, tuttavia esso non può essere interpretato sic et simpliciter come relazione meccanica, dal momento che l’immaginazione stessa non può essere ridotta a mera necessità. 
Con Locke, invece, abbiamo un vero e proprio salto in avanti. Infatti, Locke inizia a pensare ai mostri non semplicemente come segni di un divino, né tantomeno come elementi sorti da un errore di calcolo meccanicista. I mostri sono coloro che abitano la ragione. Ma abitano la ragione dell’essere umano, in quanto l’essere umano é abituato a ragionare per delle categorie che rispecchino una continuità. Il mostro, dunque, rappresenta l’eccezione alle idee che l’essere umano crede di possedere in quanto eterne e immutabili. I mostri, allora, sono quelle idee che si oppongono alla ragione comune, ancor prima che alle persone. Solo in seguito le persone vengono etichettate come mostri, in quanto segni visibili che non rispecchiano la normalità. In questa prospettiva, nasce spontanea in Locke la domanda: i mostri sono i diversi o coloro che non tollerano il diverso? 
L’unico mostro reale sarà allora quello che Liceti e Gockel definivano mostro per “metafora”, o uso metaforico del termine “mostro”, l’appellativo dato a uomini che, nel caso di Locke, rinunciano alla ragione non per follia ma per volontà. In altri termini, il mostro non sarà il neonato deforme, ma colui che lo uccide perché scambia delle costruzioni intellettuali arbitrarie per essenze reali, senza avere la prudenza o il buon senso di aspettare per vedere cosa ne uscirà. Egualmente mostruosi saranno gli entusiasti e gli intolleranti, che scambiano “i mostri che ormai risiedono nel nostro cervello”, risultati di influssi culturali e di pratiche sociali, “per immagini della divinità e opere delle mani stesse di Dio” e perseguiteranno quanti penseranno diversamente, senza accorgersi o volutamente scordando che delle cose Above Reason (per non parlare di quelle Contrary to Reason) non si può avere conoscenza: “la tolleranza verso coloro che hanno opinioni diverse in materia di religione é a tal punto consona al Vangelo e alla ragione, che appare una mostruosità che ci siano uomini ciechi, di fronte a una luce così chiara”.[2]
La risposta di Locke non solo ci sorprende per la stringente ragionevolezza, ma anche perché mette in gioco anche il Vangelo. Infatti, Locke é uno dei primi pensatori che coniuga la lettura del Vangelo con la ragione, sotto il segno della tolleranza. Dove la tolleranza non é ancora la comunione di cui parla il Vangelo stesso, ma é un punto di arrivo di un percorso ragionevole anche sulla questione della mostruosità. Dove il mostruoso non é solo un parto dell’immaginazione dei secoli passati, ma é ciò che ancora alberga nella nostra immaginazione piena di apparenza e spettacolo. Anzi, oggi più che mai, dinanzi a tutta la visibilità che un uomo e una donna possono avere sarebbe stimolante poter ripensare l’idea stessa di mostro, non solo come ciò che é contro ragione, ma come ciò che solletica la ragione a non pensare ma a guardare soltanto. Ecco, allora, dove oggi si insidia il mostro nel nostro immaginario, dove ciò che é contrario alla ragione é ciò che disinnesca la ragione stessa, spingendola verso la sterilità.    


[1] D. De Pretto, I parti mostruosi dell'immaginazione: Bayle, Malebranche, Locke e i mostri del Seicento, in Ontologie della resistenza: le figure del mostruoso nel pensiero materialista, Quaderni Materialisti 13-14(2014-2015), p. 71-72.
[2] Ivi, p. 77-78. 

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