LA RICERCA DEL PADRE di Gabriele Vaglio


In questa società liquida ci muoviamo quasi come delle molecole impazzite, senza meta e rompendo la materia. Se fossimo uniti, vedendo la diversità come una cosa naturale, allora sì che saremmo un corpo, una società che farebbe da punto di riferimento per le società future come lo sono state le società prima della nostra nonostante tutti i passaggi, anche oscuri, che la storia ci ricorda, o almeno saremmo desiderosi di una restaurazione, di una condensazione dell’inconsistenza che viviamo.
Perché non riusciamo a sognare di poter essere una “generazione riferimento” per il futuro?
Probabilmente perché davvero abbiamo perso i punti di riferimento, abbiamo perso le figure genitoriali, sia biologiche e penso ai bambini che spesso sono lasciati a loro stessi, ma cosa più importante abbiamo perso il Padre, ci siamo dimenticati di Dio. Con la parola “Dio”, o per meglio dire “Padre” non mi riferisco solo al dio di noi cristiani ma ad un riferimento che è presente in ogni cultura ed in ogni uomo, mi riferisco ad un vero e proprio orizzonte di senso.
In questa breve riflessione mi sono fatto toccare e ispirare dal romanzo autobiografico “Il primo uomo” di Albert Camus. Si tratta della sua ultima opera scritta su un taccuino poco prima di morire, infatti è stata trovata scritta a mano, senza punteggiatura ed in alcuni punti illeggibile, ma comunque è stata sistemata e pubblicata nonostante l’autore fosse ormai defunto, ma coloro che non poteva non essere condivisa con il mondo intero.
La cosa che trovo commuovente è il racconto del protagonista Jacques Cormery, che altro non è che  lo pseudonimo di Albert Camus stesso, che si mette alla ricerca di suo padre che era morto in  guerra, quindi decide di cercare la sua tomba e la trova, ma questo viaggio è solo l’esplicitazione esteriore di un vero e profondo viaggio interiore.
Proprio il viaggio interiore alla ricerca del Padre è quello che dovremmo sperare di realizzare nella nostra vita, infatti, cos’è la fede e la vita se non una continua ricerca di nostro Padre? In noi stessi, negli altri ed in ogni cosa che riguarda la nostra esistenza.
Questa ricerca non parte se ci si isola dal mondo intero, se rimaniamo nel nostro ipersoggettivismo che è una piaga sociale perché non ci permette l’incontro con l’altro e ci fa perdere innumerevoli occasioni, perché in ogni uomo o donna c’è una caratteristica del Padre che cerchiamo, tutto ci parla di lui che ci restituisce a noi ed alla nostra vita.
“Ci sono persone che giustificano il mondo, che aiutano a vivere con la loro sola presenza”.(1)
Queste sono figure per lo più di passaggio e ci mancherà la loro impronta del Padre , ma un segno ce lo lasciano, ci rimane un profumo di immortalità come la loro anima.
Queste persone sono i riferimenti che ci servono per dare forma a noi stessi, possono essere genitori, nonni, amici, insegnanti, pastori… insomma dei compagni di viaggio che però sappiano essere delle guide che con parole ed azioni ci fanno sperimentare la nostra figliolanza, credo fortemente che non abbiamo più figure, idee, un senso di riferimento quindi un “Padre”, perché non siamo più capaci di essere figli e così a nostra volta non saremo punti di riferimento esistenziali per altri.
Noi siamo dei “piccoli senza cura” immersi e persi nella ricerca del Padre, questo ci rende fragili ma così profondamente umani e belli, non sappiamo quasi dove andare, ma perché non metterci in cammino per riscoprire questa bellezza, questo bisogno costante di ricerca che fa parte della nostra essenza. L’uomo è perché è mancante di qualcosa e deve cercarlo, ne ha bisogno, l’uomo è povero ma si arricchisce nel suo eterno pellegrinare e ciò che è fragile e perso ha un fascino straordinario. Questa è l’eccezionale nostra debolezza che contribuisce a rendere sopportabile il mondo, ed è la debolezza davanti al bello. (2)

(1) A. Camus, Il primo uomo, Bompiani, Milano 2018, p.42.
(2) A. Camus, Il primo uomo, Bompiani, Milano 2018, p.120.

Commenti

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